Giuseppe Mille a marzo andrà in pensione, come Lsu del comune di Pizzo Calabro, e porterà con sé la rabbia dello sfruttamento legalizzato dei precari calabresi e l’amarezza per un contenzioso che dura da 8 anni.

Carte bollate, lettere, e perfino un ricorso al giudice del Lavoro per vedersi riconosciuta l’effettiva qualifica per la mansione che ha svolto dal 1995, visto che gli uffici non l’hanno considerato mai un idraulico – l’unico che lavora per l’ente – bensì operaio generico.

«Prendo 1.000 euro lordi al mese – spiega il lavoratore precario – e da pensionato il mio reddito mensile scenderà a 600 euro, tutto perché i miei superiori si sono dimostrati insensibili con me: mi hanno chiamato a qualsiasi ora del giorno e della notte per risolvere i guasti, ma quando ho chiesto il giusto inquadramento hanno sempre risposto di no».

In questo suo braccio di ferro legale, Mille è assistito da Domenico Pafumi – sindacalista della Uil – ma soprattutto dalla moglie Carmela che racconta cosa significhi vivere con accanto un lavoratore disponibile per il comune «anche i notte, ma senza quella retribuzione e quella dignità che sarebbe stato normale riconoscergli».

Ad ottobre probabilmente il Tribunale definirà la controversia, e i coniugi Mille sperano che il giudice riconosca la qualifica di idraulico con forza retroattiva, ovvero che stabilisca - grazie ai tanti documenti in possesso del lavoratore - il periodo in cui far combaciare mansione vera e stipendio. Secondo i calcoli fatti, nella futura pensione – se il giudice dovesse dar ragione a Mille – ci dovrebbero essere 200 euro in più.