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Arresto convalidato, ma immediata scarcerazione senza alcuna misura. Questa la decisione del Tribunale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Pia Sordetti, nei confronti di Luigi Mancuso, 66 anni, boss indiscusso dell’omonimo clan di Limbadi, arrestato sabato dai carabinieri a Nicotera dopo tre anni di irreperibilità. Il pm della Procura di Vibo, Benedetta Callea, aveva chiesto – oltre alla convalida dell’arresto effettuato dai carabinieri – la misura cautelare dei “domiciliari” con obbligo di indossare il braccialetto elettronico. A tale richiesta della pubblica accusa si sono però opposti gli avvocati Francesco Sabatino e Giancarlo Pittelli che hanno ribadito l’insussistenza del fatto contestato a Luigi Mancuso in quanto mancante la gravità indiziaria.
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Ciò sul presupposto che nel 2012 – all’atto della scarcerazione dopo aver scontato 19 anni di ininterrotta detenzione – il boss di Limbadi era stato sottoposto in automatico alla misura della prevenzione della sorveglianza speciale irrogata con un decreto del 1997, senza alcuna rivalutazione della sua pericolosità sociale una volta finita di scontare la pena definitiva di 19 anni per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Rivalutazione necessaria, invece, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza della Cassazione. Mancando quindi la gravità indiziaria (presupposto necessario per il mantenimento di una misura restrittiva della libertà personale), Luigi Mancuso è stato scarcerato e rimesso in libertà. Gli avvocati hanno poi chiesto un termine a difesa ed il processo è stato rinviato all’udienza del 7 febbraio 2018.
g.b.