Il racconto della disavventura giudiziaria all’indomani della conclusione del processo di primo grado: «Oggi ritrovo la mia dignità. Eppure sarebbe bastato interpretare correttamente le intercettazioni»
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La sentenza del 19 dicembre 2024 del gup di Catanzaro, Fabiana Giacchetti, pronunciata nell’aula bunker di Castrovillari, ha posto finalmente termine alla “disavventura giudiziaria” che ha coinvolto Maria Rosaria Ceglie, paolana d’origine, trapiantata a Roma per motivi di lavoro. La Ceglie infatti, difesa dagli avvocati Emma Eboli e Gabriele Fiorito, del foro di Paola, è stata assolta con formula piena, perché il fatto non sussiste, dall’accusa di corruzione, nel filone con il rito abbreviato del processo Reset, istruito dalla Dda di Catanzaro.
Dopo essere stata posta agli arresti domiciliari nella notte del primo settembre 2022, mentre stava trascorrendo le ferie a casa della sua famiglia di origine, per Maria Rosaria Ceglie «si apriva – si legge in una nota – un calvario giudiziario e umano protrattosi per oltre 24 mesi, sebbene, già a pochi giorni dall’arresto, l’ipotesi corruttiva contestatale dalla procura distrettuale di Catanzaro fosse risultata totalmente infondata, quando il Tribunale del Riesame, con provvedimento emesso il 16 settembre 2022, stabilì la revoca dell’ordinanza con la quale era stata disposta la misura degli arresti domiciliari». Il Riesame infatti, andando ben oltre la semplice asserzione del venir meno delle esigenze cautelari, smontò pezzo per pezzo l’ipotesi accusatoria, stabilendo l’assoluta liceità e correttezza del comportamento di Maria Rosaria Ceglie e accogliendo così totalmente la versione difensiva portata avanti dai legali di fiducia.
Per ottenere una sentenza che potesse assolverla con la formula più ampia dall’accusa mossale sono trascorsi altri due anni, nonostante la scelta del rito abbreviato perché questi sono i tempi fisiologici di un maxi processo, che per una cittadina incensurata e innocente sono tanto lunghi da sembrare infiniti.
«In questi due anni - fa sapere direttamente l’interessata – io, già fortemente provata da gravi perdite familiari, mi sono vista crollare il mondo addosso. Mi fa rabbia il fatto che siano state messe in discussione la mia onestà e la mia integrità morale, valori per me imprescindibili, che mi sono stati trasmessi con amore dai miei genitori, e che ho sempre portato avanti tanto nella vita privata quanto, soprattutto, in quella professionale. Mi fa rabbia che la Società per la quale ho lavorato con dedizione per tanti anni – Invitalia spa - mi abbia immediatamente voltato le spalle, sposando sin dal primo giorno la tesi accusatoria della Procura, e non tenendo in nessun conto l’irreprensibilità del mio comportamento professionale, attestato anno per anno dalle valutazioni estremamente positive ricevute dai miei responsabili sul posto di lavoro. Mi fa rabbia essere stata esposta al pubblico ludibrio, con articoli di stampa e servizi giornalistici dal tono sensazionalistico sul mio conto all’indomani dell’arresto senza alcun rispetto della dignità individuale».
«Questa sentenza – continua Ceglie – mi ha restituito la dignità di cittadina onesta, e lo ha fatto nel più breve tempo possibile per la giustizia italiana, grazie a tre scelte di fondamentale importanza condivise con i miei legali di fiducia, i quali hanno fatto loro questo caso trascendendo il lato professionale e sposando quello affettivo e umano: quella di rispondere all’interrogatorio di garanzia immediatamente dopo il mio arresto; di rivolgerci comunque al Tribunale del riesame di Catanzaro nonostante già il Gip avesse modificato la misura degli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora, con una motivazione che però non ci aveva soddisfatti; di scegliere il rito abbreviato per accelerare la tempistica del primo grado di giudizio. Nonostante ciò, tutto quel che mi è stato tolto in questi due anni, nessuno potrà più restituirmelo: e proprio per tale ragione affermo con convinzione che coinvolgere una onesta cittadina italiana, incensurata, in un processo di mafia, è un qualcosa che non dovrebbe avvenire con così tanta facilità. Le conversazioni captate mediante le intercettazioni, che sono uno strumento indispensabile per la giustizia, devono essere poi correttamente interpretate, perché, se così fosse stato fatto nel mio caso, si sarebbe immediatamente compresa la portata inverosimile delle contestazioni addebitatemi. Mi piacerebbe che la mia vicenda possa costituire un esempio affinché nessuno debba più subire ciò che ho subito io».