Tra Villa San Giovanni e Reggio Calabria li conoscono tutti, ma per il provvedimento di regolarizzazione contenuto nel decreto Rilancio non esistono. Sono fantasmi confinati nelle periferie della città, braccia non urgenti, che quindi per il governo possono essere ignorate. Eppure lavorano da anni, sono parte della comunità, c’è anche il loro contributo, il loro slancio, la loro voglia di declinare la vita al futuro nel centro sociale-culturale “Nuvola rossa”.

Gli esclusi per settore e i clandestinizzati per decreto

Un bastione storico della sinistra dell’aria reggina, punto di riferimento per generazioni di militanti, che adesso si arricchisce di altre esperienze, nuove culture, diventa fucina. Ma per il governo, alcune delle sue anime sono fantasmi, invisibili, per settore escluse da un processo di regolarizzazione che considera solo chi serve con urgenza nei campi e nelle case e ignora chi da anni già lavora in altri settori. Arrampicati sulle impalcature nell’edilizia, a spaccarsi la schiena come facchini e nella logistica, nelle cucine dei ristoranti, di fronte a negozi e grandi catene. Oppure chi, ancora combatte con la babele giuridica che il decreto sicurezza, voluto da Matteo Salvini, ha creato.

Il paradosso del decreto Salvini

Con la cancellazione della protezione umanitaria, trasformata in quella “speciale” – a differenza della precedente da rinnovare con maggiore frequenza e non convertibile in permesso di lavoro – in molti sono ripiombati nel limbo dei richiedenti asilo. Che non hanno diritto a residenza, a meno che non l’avessero in precedenza, dunque niente contratti regolari di lavoro e di affitto, niente tessera sanitaria o possibilità di aprire un conto in banca. Un biglietto per il grande mondo dei fantasmi delle periferie, condannati a sopravvivere in attesa di un documento che permetta loro di emergere dal limbo giuridico ed esistenziale in cui sono stati scaraventati. Quasi un paradosso per un decreto che prometteva sicurezza e ha creato invisibili.

Il labirinto dei ricorsi e una vita scandita in semestri

È stata dura per Badsha, bengalese arrivato in Italia da ragazzino e mai più tornato a casa. Non può, perderebbe il diritto a rientrare e da sei anno è stato costretto a scegliere fra il tentativo di costruirsi un futuro e la voglia di rivedere i suoi. Eppure lavora da tempo e con continuità, ma la sua richiesta di asilo è stata rifiutata. A detta della commissione, la situazione nel Bangladesh regolarmente terremotato da conflitti etnici e politici non è abbastanza disastrosa e la voglia di un futuro diverso non basta. Anche in caso di un ragazzo diventato uomo in Italia, dove da anno lavora come bracciante e si è perfettamente integrato. È appeso all’esito dei ricorsi, che si trascinano per anni. Nel frattempo, declina la vita di sei mesi in sei mesi. Quelli del permesso che la legge gli concede, quelli della durata massima dei contratti di lavoro che la legge gli consente di avere.

Se sessant’anni di guerra non bastano

Anche per Imitizaz la vita si declina così. Fa l'operaio in una lavanderia industriale e non è settore toccato dalla regolarizzazione prevista dal governo.  E allora anche a lui tocca aspettare l'esito della giostra legale, dopo che dalla commissione territoriale in prima istanza è arrivato un no. E dire che il conflitto nel suo Kashmir, terra di frontiera e come tale contesa fra India, Pakistan e Cina, è fra i più antichi di tutto il subcontinente indiano

La lotteria dell’umanitaria e quel lavoro necessario

Rispetto a loro, lo chef Abdouramane e il bodyguard Hudu sono fortunati. Prima che il decreto Salvini entrasse in vigore sono riusciti a convertire la protezione umanitaria in contratto di lavoro. Il primo lavora in un noto ristorante di Villa San Giovanni, il secondo cura la sicurezza di una grande catena di Reggio Calabria. Ma per entrambi il lockdown ha significato cassa integrazione. Se le attività in cui sono impiegati decidessero di fare tagli e loro dovessero perdere il lavoro, rischierebbero di perdere anche il permesso. L’anticamera ad accettare impieghi di ogni tipo, a qualsiasi condizione, pena il girone infernale di ricorsi, appelli e reiterate.

La paura di essere fantasma

Un incubo che Ebrima, ragazzino gambiano di 19 anni impiegato come lavapiatti in un altro locale di Villa, vede avvicinarsi ogni giorno di più. A lui il contratto è scaduto durante il lockdown e per adesso di rinnovo non si è parlato, ma ha ancora una protezione umanitaria che a breve andrà in scadenza e se non dovesse riuscire a convertirla in permesso di lavoro, anche lui precipiterebbe nel paradosso del decreto Salvini. 

Sciopero degli invisibili

«Per evitare che per loro e per i tanti che sono nelle loro condizioni la vita si trasformi in un incubo, sarebbe bastato pensare ad un permesso di lungo periodo, senza vincolo di contratti preesistenti o di settore. Questo avrebbe permesso di rendere visibile e dare diritti a persone che da tempo sono e lavorano in Italia, emanciparle dai possibili ricatti a cui la clandestinità o la paura della clandestinità ti espone». Ed anche per questo il 21 maggio sarà sciopero di quegli invisibili che tutti conoscono e il governo non vede.