La pagina social esaltava anche Cosa Nostra ed il clan Casamonica di Roma, chiedendo la liberazione dei boss detenuti. Il testimone di giustizia Pino Masciari: «Frutto di una subcultura mafiosa che si è insinuata ovunque»
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I carabinieri hanno avviato accertamenti su un profilo Tik Tok che inneggia alla ‘ndrangheta. La pagina social “Broker detenuti 78”, al momento non più raggiungibile, conta oltre 34mila follower e circa 345 mila interazioni. Molti post esaltano ‘ndranghetisti e boss riconosciuti colpevoli in diversi procedimenti giudiziari, a cominciare da Rinascita Scott, ma non solo. Anche a mafiosi e a esponenti del clan romano dei Casamonica vengono riservate parole di ammirazione e auspici di “presta libertà”.
Secondo quanto ha appreso l’Ansa, i carabinieri hanno avviato accertamenti e non mancano le polemiche. Il vice capogruppo di Fdi alla Camera e componente della commissione Antimafia Alfredo Antoniozzi che ha chiesto di oscurare «il vergognoso profilo».
«Tik Tok non mi piace di suo - afferma il parlamentare calabrese- per tante cose, ancora di più per questo profilo che inneggia alle famiglie Mancuso e Accoriniti, chiedendo la scarcerazione dei capifamiglia, tutti condannati. Mi perplime che ci siano decine di migliaia di follower e che si pubblichino vere e proprie esaltazioni di famiglie che rappresentano quel segmento che la Calabria respinge fortemente e che non possiamo permettere di fare diventare una narrazione quasi carismatica in un social che dimostra di consentire tutto e che certamente è un pessimo esempio per tutti i nostri giovani».
Per il testimone di giustizia Pino Masciari, il profilo «è chiaramente frutto della subcultura mafiosa che è riuscita ad insinuarsi in tutte le pieghe della società civile e affascina le nuove generazioni, al punto da far considerare la viltà e la violenza dei mafiosi come eroismo. Non è accettabile che gruppi del genere siano lasciati liberi di fare propaganda all'illegalità sotto gli occhi delle istituzioni, delle forze dell'ordine. È estremamente grave, deve scattare - afferma - un allarme istituzionale, sociale, perché se è dilagante questo modo di pensare, se si inneggia ai boss e si semina odio nei confronti di chi ha abbandonato il passato criminale e ora si è messo a servizio dello Stato, vuol dire che la cultura della legalità che tentiamo di costruire ogni giorno è ancora lontana dall'essere la cultura dominante».