Decurtazione monstre dello stipendio per 50 camici bianchi che dal 2010 al 2019 hanno percepito l'indennità aggiuntiva di 5,50 euro l'ora. Mentre il servizio di prima emergenza continua ad arrancare: negli ultimi due anni soppresse tre postazioni
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Difetto di comunicazione o di interpretazione, resta il fatto che per ora a pagare il prezzo più alto sono gli operatori della centrale operativa del 118 di Catanzaro. La controffensiva dell'Azienda sanitaria provinciale, sciolta per infiltrazioni mafiose e retta da una terna commissariale, è appena iniziata.
Recupero coattivo dei crediti
Nei giorni scorsi gli operatori convenzionati che svolgono le attività di prima emergenza a bordo delle ambulanze si sono visti, infatti, recapitare una diffida a mezzo pec con la quale si chiede la restituzione delle somme percepite a titolo di indennità aggiuntiva e del valore di 5,50 euro. Una diffida preceduta da un'altra pec attraverso la quale si comunicava la decurtazione di ulteriori somme sullo stipendio per il recupero delle medesime indennità elargite però nelle giornate di ferie.
Il salasso
E non si tratta affatto di bruscolini ma di un vero e proprio salasso. Gli importi che l'Asp di Catanzaro ha in animo di recuperare oscillano tra i 60 e 100mila euro ad operatore a cui si devono aggiungere le ulteriori somme inserite in un apposito piano già notificato ai diretti interessati e che avrà efficacia a partire dallo stipendio di luglio. L'operazione di recupero crediti che l'azienda sanitaria ritiene illegittimamente elargiti dal 2010 al 2019 ha preso il via, dopo la pubblicazione della relativa delibera con la quale la terna commissariale annunciava di dare mandato all'ufficio legale di «procedere al recupero giudiziale delle somme indebitamente corrisposte negli ultimi dieci anni» sulla scorta di una dubbia interpretazione dell'accordo regionale integrativo.
La pietra dello scandalo
Pietra dello scandalo è l'articolo 29 dell'accordo che declina i compiti che il medico dovrà svolgere e da remunerare attraverso la corresponsione di somme aggiuntive sullo stipendio: «Ai medici che forniranno formalmente all'azienda di appartenenza la disponibilità a partecipare alle suddette attività e per l'espletamento dei compiti aggiuntivi è corrisposta un'indennità aggiuntiva di 5,50 euro per ogni ora di attività», così recita l'accordo regionale integrativo. Una esposizione contestata dall'Asp che ha deciso di agire energicamente dopo che l'intera vicenda è finita nelle mani della Guardia di Finanza.
I dubbi interpretativi
Se, infatti, in un primo tempo la liquidazione delle indennità aggiuntive viene collegata alla disponibilità offerta dai singoli operatori a partecipare alle attività, successivamente il dipartimento Tutela della Salute della Regione Calabria corregge il tiro. In un verbale stilato il 2 gennaio del 2019 l'ex dirigente generale, Antonio Belcastro, fornisce un'interpretazione autentica degli articoli controversi introducendo però un nuovo elemento: la corresponsione della indennità deve avvenire oltre che previa acquisizione della richiamata disponibilità anche dell'autocerficazione resa dai singoli operatori nonchè di attestazione da parte del dirigente della centrale operativa inerente l'effettivo espletamento dei compiti aggiuntivi e la coerenza con il piano di lavoro.
Showdown
Condizioni non rispettate, a parere della terna commissariale, che ha scelto la strada dello showdown avviando un'operazione di recupero coatto dei crediti. Secondo i vertici dell'Asp di Catanzaro la liquidazione delle indennità deve presupporre a monte la presenza di uno specifico piano semestrale che preveda la periodica rivisitazione della tipologia di compiti da svolgere, non una mera sovrapposizione di attività genericamente svolte durante il normale orario di lavoro «sempre uguali a se stessi» e, inoltre, «una verifica da parte dell'amministrazione dell'effettivo svolgimento di specifici compiti aggiuntivi opportunamente programmati e distinguibili dalle attività ordinarie nell'ambito di uno specifico piano di lavoro».
Gli anelli deboli
Un duello alla breve distanza tra i due enti pubblici - Asp e Regione - che alla lunga ha già lasciato e continuerà a lasciare morti e feriti sul campo. Nel corso degli anni la dotazione organica del servizio di prima emergenza ha subito infatti una poderosa emorragia, solo in pochi - ormai una cinquantina - sono rimasti a svolgere un'attività rischiosa ma di stretta necessità producendo una progressiva smedicalizzazione delle postazioni di 118 sul territorio provinciale. A partire dal 2019 sono state soppresse le postazioni di Sersale, Tiriolo e Maida ed è stata ridotta a 12 ore quella di Chiaravalle. Ed è presumibile che dopo questa violenta stretta anche altri operatori decidano di intraprendere la via di fuga da un'attività non solo rischiosa ma oggi anche onerosa lasciando sguarnito un servizio essenziale e salvavita.