I due amministratori, rispettivamente di Acri e Longobucco, sono coinvolti nell’indagine della procura tirrenica contro l’ex consigliere regionale del Partito democratico accusato di corruzione e al quale è stata applicata la misura di divieto di dimora in Calabria
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Perché il sindaco di Acri Pino Capalbo e il sindaco di Longobucco Giovanni Pirillo sono indagati a piede libero nell’inchiesta sull’ex consigliere regionale del Partito democratico Giuseppe Aieta? Lo spiega il gip del tribunale di Paola Rosamaria Mesiti, nella parte finale del provvedimento cautelare emesso soltanto nei confronti dell’ex sindaco di Cetraro.
L’inchiesta | Corruzione, divieto di dimora in Calabria per l’ex consigliere regionale Giuseppe Aieta
Nell’elenco, tuttavia, compaiono anche il presunto “falso autista” Emilio Morelli e l’imprenditore di Corigliano Rossano Giuseppe Chiaradia. Detta dell’incompetenza territoriale, che affronteremo in un altro servizio, il giudice cautelare di primo grado ritiene che nei confronti dei quattro indagati «non sussistano le condizioni per l’applicazione di misure cautelari, con particolare riguardo al requisito “dell’urgenza” di soddisfare talune delle esigenze cautelari».
Questo perché «non emergono concreti elementi da cui desumere la sussistenza del pericolo di inquinamento»; «la collocazione temporale e le modalità dei fatti per cui si procede, per come rispettivamente ascritti ai suddetti indagati, non consentono di ritenere che analoghe condotte siano allo stato in atto, protratte o imminenti in riferimento ai predetti»; «alla sostanziale unicità dei fatti ascritti a ciascuno degli indagati summenzionati o comunque delle vicende entro cui detti fatti sono stati posti in essere, tra loro strettamente connessi e riconducibili a un contesto unitario»; «alla collocazione temporale non recente dei fatti rispettivamente ascritti a ciascun indagato per come indicati nella provvisoria imputazione ed emergenti dagli atti, avuto anche riguardo al tempo trascorso tra l’epoca degli stessi e la data in cui la richiesta in esame è stata avanzata; “alla mancata emergenza - a fronte del tempo trascorso - di qualsivoglia detto attualizzante, o comunque di elementi indicativi recenti idonei a dar conto con riguardo ai predetti - persone incensurate - della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare sarebbe oggi chiamata a realizzare e, in particolare, dell’urgenza di soddisfare l’esigenza cautelare».
Il gip dunque sottolinea che il requisito dell’urgenza, «tenuto anche conto del più esiguo rilievo predittivo - in termini di pericolosità - del numero e delle modalità dei fatti ascritti a Capalbo e Pirillo, non appare in concreto desumibile dalla sola qualità di pubblici ufficiali da questi rivestita».