Colpito l'intero patrimonio di aziende site in tre diverse regioni e operanti nel commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi. L'operazione fece luce sugli interessi della 'ndrangheta nel redditizio settore
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Nuovi sequestri nell’ambito dell’operazione Petrolmafie. Nel dettaglio, i finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello Scico, sotto il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri, hanno dato corso, con il supporto dei Reparti del Corpo competenti per territorio, nelle province di Asti, Milano, Piacenza, Parma, Roma, Latina, Caserta, Napoli, Bari, Brindisi e Lecce ad un decreto emesso dall’Ufficio gip del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della medesima Procura della Repubblica con il quale è stato disposto il sequestro preventivo dell’intero patrimonio aziendale di 3 società di capitali operanti nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, disponibilità finanziarie, beni mobili ed immobili, per un valore complessivo stimato in circa 15 milioni di euro.
L'inchiesta Petrolmafie
L’operazione costituisce l’epilogo delle indagini condotte dal Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria e dallo Scico con il coordinamento della Dda di Reggio Calabria, a contrasto dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nel commercio, su ampia scala, degli idrocarburi.
L’attività investigativa svolta ha permesso di scoprire, allo stato degli atti e sotto il profilo della gravità indiziaria, l’esistenza di una struttura organizzata, attiva nel commercio di prodotti petroliferi, avente la finalità di evadere le imposte, in modo fraudolento e sistematico, sotto la direzione strategica di un commercialista campano e con la compiacenza di soggetti esercenti depositi fiscali e commerciali, avvalendosi del controllo capillare di tutta la filiera della distribuzione del prodotto, dal deposito fiscale ai distributori stradali.
Gli interessi della 'Ndrangheta
Le investigazioni hanno inoltre consentito, in questa fase del procedimento penale e fatte salve le necessarie conferme nel merito, di lumeggiare gli interessi della ‘ndrangheta, e di altre organizzazioni criminali siciliane e campane nella gestione del business del commercio di prodotti petroliferi - settore economico altamente remunerativo - sull’intero territorio nazionale, per il tramite di una vera e propria joint venture criminale volta alla massimizzazione dei profitti illeciti ai danni dello Stato e della libera concorrenza.
In particolare, le società investigate (cartiere), affermando fraudolentemente di possedere tutti i requisiti richiesti al fine di poter beneficiare delle agevolazioni previste dalla normativa di settore, presentavano ad un deposito fiscale ubicato nella provincia di Reggio Calabria – volano della frode - la relativa dichiarazione di intento per l’acquisto del prodotto petrolifero senza l’applicazione dell’iva. Il prodotto così acquistato, a seguito di diversi (e cartolari) passaggi societari, veniva poi ceduto, a prezzi concorrenziali, ad individuati clienti. Nel corso delle indagini è stato ricostruito un giro di false fatturazioni per un ammontare complessivo di oltre 600 milioni di euro ed iva dovuta per oltre 130 milioni di euro, appurando l’omesso versamento di accise per 31 milioni di euro.
I proventi derivanti dalla frode venivano trasferiti verso una fitta rete di conti correnti controllati dall’organizzazione criminale, intestati a società di comodo o persone fisiche, da cui il denaro veniva in seguito trasferito verso società di comodo estere o prelevato in contanti e restituito (sempre in contanti) tanto ai membri dell’organizzazione quanto agli acquirenti del prodotto petrolifero.
I profitti illeciti, così ripartiti dai membri dell’organizzazione, venivano reinvestiti nel medesimo circuito criminale e/o impiegati in altre attività finanziarie/imprenditoriali così determinando un vorticoso giro di riciclaggio – autoriciclaggio, per un importo complessivo di oltre 173 milioni di euro. Parte di detto importo (per oltre 41 milioni di euro) veniva riciclato su conti correnti esteri riconducibili a società di comodo bulgare, rumene, croate ed ungheresi, per poi rientrare nella disponibilità dell’organizzazione medesima.
Gli arresti nell'aprile scorso
In tale contesto, nel mese di aprile 2021 veniva data esecuzione a provvedimenti cautelari personali, nei confronti di 23 persone (19 in carcere e 4 agli arresti domiciliari) e reali su un patrimonio complessivamente stimato in centinaia di milioni di euro.
I successivi approfondimenti esperiti hanno permesso di accertare, allo stato ed in via indiziaria, come il sodalizio investigato, parallelamente alle descritte attività, si fosse prodigato per l’acquisto di un ulteriore deposito fiscale con cui proseguire ed ampliare il disegno criminoso. Allo scopo, l’organizzazione, reimpiegando parte dei proventi illecitamente accumulati, ha rilevato, per il tramite di una società di comodo ubicata a Milano, un deposito fiscale con sede in Bari.
Analogamente, al fine di massimizzare i profitti connessi alla frode perpetrata, il sodalizio ha acquistato, facendo ricorso anche in tal caso a provviste illecite, un deposito commerciale insistente nella provincia di Parma.
Con l’operazione odierna si è proceduto, quindi, al sequestro dei citati compendi industriali, frutto del reimpiego dei proventi illeciti generati dalla consorteria criminale.