Tutti sono accusati, a vario titolo, di traffico internazionale di droga. Roberto Porcaro ha rilasciato dichiarazioni spontanee dichiarandosi estraneo ai fatti
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Scena muta per i primi venti indagati dell’inchiesta “Crypto” che questa mattina sono comparsi davanti al gip distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Antonino Foti. In alcuni casi, le persone finite in carcere hanno reso brevissime dichiarazioni spontanee, ma nel caso di Roberto Porcaro, presunto esponente del clan “Lanzino” di Cosenza, la storia è stata di un’altra tenore.
L’uomo che secondo la Dda di Catanzaro ha ricoperto il ruolo di “reggente” della cosca degli italiani, operante a Cosenza e dintorni, ha negato ogni addebito, professando la sua innocenza. Inoltre, Porcaro ha spiegato i motivi per i quali aveva varcato la porta d’ingresso di un negozio d’abbigliamento che vende abiti da sposa, nel quale si sarebbe trovato in quel momento anche Francesco Suriano (difeso dall’avvocato Carmine Curatolo).
«Nulla a che vedere con le contestazioni formulate nei miei confronti» avrebbe detto al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria. Ed infine, Roberto Porcaro, difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Sergio Rotundo, ha chiarito di non essere lui il mittente dei messaggi testuali in cui si parlava della compravendita di due chili di cocaina. Sms che la Dda di Reggio Calabria ha attribuito anche al presunto narcotrafficante di Amantea.