La Corte di Cassazione, nel processo "Frontiera", ha respinto i ricorsi presentati dal pubblico ministero e dalle difese degli imputati coinvolti nelle attività illecite della cosca Muto di Cetraro, nota consorteria di 'ndrangheta. La decisione degli ermellini chiarisce i limiti del giudizio di legittimità e conferma le scelte dei giudici di merito riguardo le pene inflitte. Ricordiamo che la maggior parte degli imputati del rito abbreviato hanno goduto della liberazione anticipata come raccontato di recente dalla nostra testata.

Processo Frontiera, le motivazioni della sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale consolidato, affermando che i vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione possono essere riconosciuti solo in caso di evidenti incongruenze tra premesse e conclusioni, oppure tra le argomentazioni giuridiche relative allo stesso fatto. Tuttavia, in questo caso, la Cassazione ha ritenuto che il ricorso del pm non evidenziasse tali vizi. Al contrario, la sentenza d’appello è stata considerata coerente, priva di contraddizioni, e in linea con i principi giuridici applicabili.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che il giudizio di legittimità non può riguardare la rilettura dei fatti né l’adozione di nuovi parametri di valutazione, in quanto, dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., il travisamento dei fatti non può essere valutato in Cassazione, che non può intervenire sulle valutazioni di merito fatte dai giudici di primo e secondo grado.

Il caso di Fedele Cipolla

Uno dei ricorsi respinti dalla Cassazione riguarda l’imputato Fedele Cipolla, il quale aveva sollevato doglianze riguardo al trattamento sanzionatorio. Cipolla contestava l'esclusione dell'aggravante dell'agevolazione dell’associazione mafiosa ex art. 416 bis, e la determinazione della pena in base a tale esclusione. La Cassazione ha considerato il ricorso inammissibile, ritenendo che riguardasse il merito della pena e non fosse scrutinabile in sede di legittimità.

In particolare, la Corte territoriale aveva confermato l’esclusione dell’aggravante, seguendo i principi stabiliti nella sentenza di annullamento con rinvio del 21 dicembre 2022. L’adeguamento della pena era avvenuto considerando i parametri dell’art. 133 c.p., che tengono conto della gravità del reato e della capacità a delinquere dell’imputato, basandosi anche sui precedenti penali di Cipolla.

La posizione di Franco Cipolla

Analogamente, la Corte ha respinto anche il ricorso della difesa di Franco Cipolla. Il ricorrente aveva contestato la determinazione della pena, ritenendo che non fosse stata applicata correttamente la disciplina della continuazione, e che la pena fosse esigua. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che le doglianze relative alla pena sono questioni di merito e non esaminabili in questa sede. La Corte d'Appello, accogliendo i principi stabiliti nella sentenza di annullamento con rinvio del 21 dicembre 2022, aveva escluso l’aggravante dell'associazione armata e ridotto la pena.

La moglie del boss Franco Muto

Anche il ricorso della difesa di Angelina Corsanto, moglie del boss Franco Muto, è stato respinto dalla Cassazione. In questo caso, la Corte territoriale aveva escluso l’aggravante dell'associazione mafiosa armata, rivedendo la pena sulla base dei principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione. La pena è stata determinata prendendo in considerazione la gravità dei reati commessi e la capacità a delinquere della Corsanto, anche alla luce dei suoi precedenti penali.

No anche a Guido Maccari

La Corte ha respinto anche il ricorso della difesa di Guido Maccari, confermando la determinazione della pena in base agli stessi principi giuridici. Maccari aveva contestato l’esclusione di aggravanti, come la recidiva e l’agevolazione dell'associazione mafiosa. La Cassazione ha escluso che vi fosse stato un errore nelle valutazioni dei giudici di merito, confermando la riduzione della pena per Maccari, che aveva precedenti penali significativi per estorsione.

La decisione su Mara Muto

Nel caso di Mara Muto, la difesa aveva contestato la determinazione della pena, ritenendola ingiustificatamente severa. La Corte d’Appello aveva escluso l’aggravante dell'associazione armata e ridotto la pena rispetto a quella inflitta in primo grado. Tuttavia, la Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendo che la motivazione della corte territoriale fosse adeguata. La pena è stata stabilita in base alla gravità dei reati commessi e alla capacità a delinquere dell’imputata, che non aveva precedenti penali rilevanti.

Il caso di Andrea Orsino

La Cassazione ha respinto anche il ricorso della difesa di Andrea Orsino, confermando che il trattamento sanzionatorio era stato correttamente determinato dalla corte territoriale. La Corte d’Appello aveva escluso l’aggravante dell'associazione armata e aveva ridotto la pena rispetto a quella inflitta in primo grado, tenendo conto della condotta e dei precedenti penali dell’imputato. La Cassazione ha ritenuto che non vi fosse stato alcun errore giuridico nella motivazione della pena.

Alfredo Palermo, le motivazioni

Inoltre, la Corte ha respinto anche il ricorso presentato nell'interesse di Alfredo Palermo, ritenendo che le doglianze sollevate fossero infondate e inammissibili. Le lamentele riguardavano la riduzione della pena, che il ricorrente considerava esigua. Tuttavia, la Cassazione ha confermato che la corte territoriale aveva motivato correttamente la determinazione della pena, tenendo conto dei precedenti penali e della gravità del reato. La riduzione della pena rispetto al primo grado è stata ritenuta legittima.

Frontiera, ecco la posizione di Alessandro De Pasquale

Anche il ricorso di De Pasquale Alessandro è stato respinto dalla Corte di Cassazione. Il ricorrente sosteneva che la corte territoriale avesse violato il divieto di reformatio in peius, fissando una pena base superiore a quella decisa in primo grado, nonostante l’esclusione dell’aggravante dell’art. 416 bis, comma 4. La Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato e contraddittorio, in quanto il ricorrente stesso ammetteva che la pena base fissata dalla corte di appello era la stessa stabilita dal giudice di primo grado, senza aumenti, e quindi non vi era stata violazione del principio di non aggravamento della pena.