Emergono nuovi, agghiaccianti particolari dalla carte dell'inchiesta "Archimede", che ha alzato il velo sulla controversa gestione della depurazione nella zona del Tirreno cosentino. Al momento gli indagati sono diciassette e sono accusati a vario titolo dei reati di turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, falsità ideologia, frode nelle pubbliche forniture, rivelazione ed utilizzazione del segreto d’ufficio e impedimento del controllo.

Il ruolo della sindaca Barbara Mele

Barbare Mele, sindaca di San Nicola Arcella, è uno dei nomi dell’inchiesta. Le accuse mosse a suo carico, però, non hanno nulla a che vedere con i processi di depurazione del suo Comune, bensì con le controversie riscontrate in alcuni atti. La Mele avrebbe attestato falsamente la data di inizio di alcuni lavori di adeguamento e messa in sicurezza di alcuni impianti sorti su terreno comunale. Contrariamente a quanto contenuto in una delibera di giunta datata ottobre 2019, parte dei lavori indicati erano già stati eseguiti nel mese di agosto e per giunta da una ditta diversa da quella poi risultata affidataria.

Il lavoro incessante degli inquirenti

Ma è sulla depurazione che si concentrano maggiormente le indagini degli inquirenti, soprattutto quando le immagini delle chiazze disgustose e nauseabonde nel mare della Riviera dei Cedri cominciano a fare il giro del web e arrivano dritto nelle stanze della caserma dei carabinieri di Scalea. Il capitano Andrea Massari chiede ai suoi uomini di battere il territorio, di giorno e di notte, per capire cosa, ma soprattutto chi, sta provocando quello scempio. L'intervento dei carabinieri ha rivelato il capitano Massari, molto spesso ha evitato danni peggiori, scongiurando numerosi sversamenti abusivi, ma le investigazioni consentono comunque di seguire una pista precisa, che confluirà nell'inchiesta Archimede.

Controlli concordati e fanghi nei terreni

Cimici e telecamere registrano, gli occhi degli investigatori sono puntati, in particolare, su due aziende che si occupano di depurazione e manutenzione dei depuratori. Una di queste, a un certo punto, commette un grave errore. Ad ottobre 2019, a febbraio e aprile 2020, uno degli indagati, titolare dell'impresa, ordina ai suoi dipendenti di gettare dell’acido peracetico nel depuratore di Buonvicino, senza nemmeno un preciso dosaggio chimico. Il fine, scrive la procura, è quello di occultare la carica batterica delle acque e alterare gli esiti dei controlli, preventivamente concordati. Ma quella di avvertire le ditte dei controlli sembra la prassi, anche grazie allo zampino di un tecnico in servizio all'Arpacal

C’è poi la questione smaltimento. Gli inquirenti rilevano che tra maggio e agosto del 2020 la ditta preleva dei fanghi di depurazione senza sottoporli ad adeguato trattamento e li sversa in alcuni terreni agricoli, una volta in località Puma, un’altra volta in località Scala. Una terza volta, i fanghi vengono gettati direttamente in un cassonetto all’interno all’interno del depuratore di Diamante. Ed ogni cosa finisce nei nastri delle telecamere azionate dai carabinieri.