Tra le 45 persone raggiunte da provvedimento di misura cautelare nell'ambito dell'operazione odierna condotta dal Comando provinciale di Reggio Calabria e coordinata dalla Dda, c’è anche la criminologa Angela Tibullo, accusata di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, corruzione in atti giudiziari e intralcio alla giustizia, aggravati dalle finalità mafiose.

 

Dagli approfondimenti svolti dai militari dall’Arma di Gioia Tauro è emerso chiaramente il ruolo rivestito dalla donna che, in virtù della professione esercitata, è risultato determinante nelle dinamiche associative e nel perseguimento degli interessi illeciti di alcune pericolose articolazioni di ‘ndrangheta del “mandamento tirrenico”, con particolare riferimento alle cosche Crea di Rizziconi, Grasso e Pesce di Rosarno, mettendo a disposizione dei propri assistiti detenuti indebiti vantaggi penitenziari, o sotto forma di riconoscimento di un regime cautelare più favorevole (da quello inframurario a quello domiciliare), o sotto forma di altri illeciti benefici, tra i quali il trasferimento verso un carcere ritenuto più consono.
In particolare, le indagini hanno permesso di accertare come la professionista, nella piena consapevolezza dell’illiceità del suo agire, si sia prodigata in favore degli affiliati detenuti per far ottenere loro la scarcerazione per incompatibilità con il regime carcerario, redigendo false consulenze e corrompendo i periti d’ufficio nominati dall’autorità giudiziaria per valutarne lo stato di salute o i medici impiegati all’interno delle strutture di reclusione.


Inoltre, sono stati documentati numerosi episodi che confermano la consapevole agevolazione delle condotte criminali dei propri assistiti, avendo veicolato all’esterno delle carceri i messaggi dei detenuti e avendo fornito ogni altra forma di ausilio agli associati, tanto da essersi prodigata anche per reperire le abitazioni dove far trascorrere le misure detentive alternative al carcere, o quanto altro necessario all’ottenimento delle autorizzazioni da parte dell’Autorità giudiziaria, ai soggetti apicali dei sodalizi richiamati che lamentavano delle incompatibilità putative con il regime carcerario.
Le indagini hanno inoltre comprovato il carattere di non occasionalità di tali condotte: la donna, che nelle intercettazioni confida la sua aspirazione al ruolo di “regina della penitenziaria”, per soddisfare tali ambizioni, palesemente illecite, avrebbe creato un vero e proprio “sistema criminale”, aggregando professionisti, medici o funzionari compiacenti – funzionali ad agevolare il conseguimento degli ingiusti vantaggi per i propri assistiti – o minacciando di escludere da successivi “affari”quelli che dimostravano di non rispettare le sue indicazioni.