Il Tribunale era chiamato a esprimersi sulla maxi inchiesta Hydra della Dda di Milano dopo che il gip aveva rigettato 142 misure cautelari su 153. In carcere Massimo Rosi, presunto vertice delle cosche calabresi
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È stata riconosciuta l'esistenza di un "consorzio", un'alleanza, delle tre mafie in Lombardia. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Milano dopo il ricorso della pm Alessandra Cerreti, nella maxi inchiesta "Hydra" dei carabinieri di Milano e Varese, che aveva rinnovato la richiesta di custodia cautelare in carcere per 79 indagati, dopo che il gip Tommaso Perna un anno fa aveva rigettato 142 istanze di misura cautelare su 153, disponendo 11 arresti, bocciando l'accusa di associazione mafiosa come "consorzio" delle tre mafie, Cosa Nostra, camorra e 'ndrangheta, ribattezzato «sistema mafioso lombardo».
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I giudici della libertà hanno ritenuto «ampiamente dimostrato», si legge in una nota del tribunale di Milano, che il «sodalizio contestato abbia fatto effettivo, concreto, attuale e percepibile uso - anche con metodi violenti o minacciosi - della forza di intimidazione nella commissione di delitti come nella acquisizione del controllo e gestione di attività economiche» con comportamenti che mostrano la «natura mafiosa del gruppo».
«In sintesi – specifica una nota del Tribunale – si può ritenere che singoli soggetti anche appartenenti alle mafie storiche» come mafia, camorra, e 'ndrangheta «abbiano costituito una associazione di stampo mafioso non configurabile però né come una confederazione di mafie né come una “supermafia” avendo trasferito nel sodalizio orizzontale tutti i tratti genetici delle associazioni di appartenenza».
In carcere Massimo Rosi, vertice delle cosche calabresi
Da quanto si è saputo, al momento sono state notificate le decisioni con cui il Riesame ha accolto il ricorso della Dda, guidata dal procuratore Marcello Viola, per la custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa come "patto" tra le tre mafie (il capo 1 dell'imputazione della Procura) per le posizioni di Giuseppe Fidanzati, presunto vertice per conto di Cosa Nostra, di Gioacchino Amico, per conto della camorra, e per Massimo Rosi, anche lui presunto esponente di vertice per la 'ndrangheta.
Gli indagati, però, potranno fare ricorso in Cassazione e, dunque, la decisione sulla custodia in carcere non è immediatamente esecutiva. Per una quarta posizione, invece, il ricorso dei pm non è stato accolto. Da quanto si è appreso, i vari collegi del Riesame che si sono occupati in questi mesi del caso depositeranno i provvedimenti a scaglioni in questi giorni. Riconosciuta, però, la tesi principale della Dda sul "consorzio" tra le mafie, che era stata bocciata dal gip.
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I 21 summit in Lombardia e il sequestro di 225 milioni di euro
Nelle carte sono stati documentati 21 summit tenuti nel 2020-21 fra gruppi ristretti di appartenenti nei Comuni di Dairago e Assago, nel Milanese, e 54 diverse società-imprese in comune (ristorazione, noleggio, logistica, edilizia, parcheggi aeroportuali, importazione di materiale ferrosi, sanità e piattaforme e-commerce), queste ultime sufficienti a disporre il sequestro di 225.205.697,62 milioni di euro per false fatture. Tra i nomi più noti citati dall'Antimafia quelli di esponenti di vertice delle locali 'ndranghetiste di Lonate Pozzolo (famiglia Rispoli collegata alla locale crotonese di Cirò) e Desio (cosca Iamonte legata alla locale di Melito Porto Salvo in Calabria), il clan Fidanzati e i Mannino nel palermitano per cosa nostra, i trapanesi vicini a Matteo Messina Denaro, il gruppo Senese per la Camorra. Il gip ha sconfessato anche il ruolo del presunto uomo di Matteo Messina Denaro al Nord: Paolo Aurelio Errante Parrino, condannato a partire dal 1997 per mafia come appartenente al mandamento di Castelvetrano, guidato dal padre dell'ex superlatitante, Francesco Messina Denaro.