Il tribunale della libertà di Catanzaro rigetta l’appello della procura ma ritiene sussistente l’agevolazione mafiosa per tre capi d’accusa
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Dopo nove mesi dall’udienza camerale, il tribunale del Riesame di Catanzaro ha preso una decisione circa il ricorso presentato dalla Dda di Catanzaro contro Andrea Dominelli, 33enne di Chiaravalle Centrale, indagato nella maxi-operazione antimafia denominata “Imponimento”. Si tratta dell’indagine, coordinata dal procuratore capo Nicola Gratteri, contro la cosca capeggiata da Rocco Anello, storico boss della ‘ndrangheta vibonese.
La seconda sezione del Tdl di Catanzaro ha rigettato la richiesta di misura cautelare avanzata dalla pubblica accusa, condividendo in parte le argomentazioni espresse in sede preliminare dal gip distrettuale. Infatti, il 3 dicembre 2020, la procura antimafia del capoluogo di regione, aveva chiesto l’applicazione di misure cautelari in ordine ai reati di concorso esterno in associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza (aggravato dal 416-bis.1) e turbata libertà degli incanti (aggravato dal 416-bis.1).
Secondo l’accusa, infatti, Andrea Dominelli avrebbe favorito la presunta associazione mafiosa, di cui farebbero parte i clan Anello di Filadelfia, Iozzo di Chiaravalle e Bruno di Vallefiorita. Già il gip, firmando l’ordinanza di custodia cautelare, aveva escluso ogni addebito all’indagato, ritenendo insussistente la gravità indiziaria circa il capo 12, e con riguardo ai capi 11, 14 e 15, aveva escluso l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
La motivazione del Riesame
La difesa di Dominelli, assistito dagli avvocati Antonello Calvelli e Rocco Prestera, aveva insistito per il rigetto dell’impugnazione sul presupposto dell’insussistenza della gravità indiziaria, prima ancora che delle esigenze cautelari. Il Riesame, a tal proposito, scrive che «il collegio concorda con il gip sulla insussistenza dei presupposti del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa in capo a Dominelli. Per come ben rappresentato dal gip, infatti, la comprovata gestione totalizzante degli appalti boschivi in capo alle cosche di ‘ndrangheta nei territori a cavallo delle pre-serre vibonesi e catanzaresi ha fatto sì che non solo Dominelli, ma molto degli imprenditori nel settore del taglio boschivo siano stati costretti a rivolgersi agli esponenti di vertice anche solo per poter presentare la domanda di partecipazione alle gare d’appalto, oltre che a versare, in caso di vittoria, consistenti somme alle medesime cosche, senza alcuna alternativa se non quella di vedersi certamente esclusi dalla partecipazione a qualunque altra gara».
I verbali del pentito Danieli
Ecco cosa diceva il 7 aprile 2018, il collaboratore di giustizia Salvatore Danieli. «Il controllo delle aste boschive da parte della nostra cosca così come degli Iozzo e degli Anello è un fatto molto vecchio da tutti risaputo per cui io non ho mai avuto notizia di intimidazioni, del fatto che sia stato necessario a minacce o addirittura a violenze. Infatti, gli imprenditori sanno che per tagliere devono rivolgersi agli uomini delle cosche e non si permettono ad iniziare un taglio autonomamente».
Il Riesame, pertanto, ha ritenuto «non raggiunta la prova - nemmeno a livello indiziario - che Dominelli abbia agito con la consapevolezza e la volontà di fornire un contributo alla realizzazione degli scopi criminali dell’associazione, dovendosi piuttosto ritenere - allo stato degli atti - che la spinta motivazionale che ha condotto Dominelli a rivolgersi agli esponenti delle cosche sia stata esclusivamente quella di far sopravvivere la propria impresa in un contesto territoriale in cui non vi erano alternative per lavorare se non rivolgendosi alle cosche, anche a causa delle documentate cointeressenze di queste ultime con gli amministratori locali preposti alle gare».
Le altre accuse
In merito alle ipotesi di reato ascritte ai capi 11 (illecita concorrenza con minaccia o violenza) 14 e 15 (turbata libertà degli incanti), «il collegio, pur condividendo il giudizio di gravità indiziaria già operato dal gip, reputa che l’ordinanza vada riformata nella parte in cui ha escluso la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa». Inoltre, «dagli elementi emersi dalle indagini, deve ritenersi che le condotte di cui ai predetti capi di incolpazione, per come risultanti dal compendio delle intercettazioni, siano stato poste in essere al fine di agevolare le attività delle consorterie criminali Anello e Iozzo».
Per i magistrati cautelari (Ermanna Grossi, presidente relatore, Mariarosaria Migliarino, giudice, Gabriella Pede, giudice), «sussiste la prova indiziaria della sua consapevolezza della finalità agevolatrice perseguita dai concorrenti nel reato e in particolare dal concorrente Nicola Antonio Monteleone (elemento di spicco della cosca Anello), al quale Dominelli ha versato le somme dovute in cambio dell’aggiudicazione delle gare, secondo la disciplina generale dettata dall’art. 59, secondo comma, c. p., che attribuisce all’autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute».
No all’arresto
Infine, il Riesame, in tema di esigenze cautelari, ritiene «insussistente il paventato pericolo di reiterazione in considerazione del tempo trascorso dalla commissione dei reati risalenti al periodo ricompreso fra il 2016 e il 2017. Non appare sussistente nemmeno il pericolo di inquinamento probatorio, tenuto conto che i gravi indizi di colpevolezza a carico di Dominelli sono stati desunti precipuamente dal compendio delle intercettazioni; non vi sono infine elementi dai quali desumere l’attuale sussistenza di un pericolo di fuga dell’indagato». Rigetto dell’appello, dunque, ma con motivazioni diverse.