Dalle mediazioni “immobiliari” alle estorsioni sui territori di competenza fino al summit a Vibo, l’ingerenza del clan Anello negli affari nel capoluogo
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Offre uno spaccato illuminante dei rapporti tra cosche del Vibonese, l’inchiesta “Imponimento” della Dda e della Guardia di finanza di Catanzaro. Sotto i riflettori ci finiscono tutti i movimenti e gli affari del clan Anello di Filadelfia, tra i quali le attività poste in essere per supportare le imprese economiche a questi assoggettate. È il caso dei rapporti intessuti con i Tripodi di Porto Salvo e i Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia.
Il “rispetto” mafioso
Secondo i magistrati della Distrettuale, c’è un episodio emblematico del “rispetto” mafioso reciproco tra gli Anello e i Tripodi. È quello relativo all’acquisizione di un capannone industriale, sito a Porto Salvo, che Antonio Facciolo, ritenuto braccio imprenditoriale dei filadelfiesi, avrebbe inteso acquistare per trasferire la sua lavanderia industriale dal sito di Maierato, risalente a fine 2017/inizio 2018. «Al fine di reperire un immobile idoneo, Facciolo - annotano i pm - si era rivolto agli Anello che - d’accordo con Tripodi Domenico, il quale agiva anche in nome e per conto dei propri fratelli (all’epoca detenuti) - proponevano allo stesso Facciolo di acquistare un capannone intestato alla società Triab Srl, ma di fatto rientrante nei beni patrimoniali del sodalizio criminale dei Tripodi di Porto Salvo».
L’affare del capannone
Secondo chi indaga, «duplice obiettivo comune ai due sodalizi criminali era quello, da un lato, di avvantaggiare l’attività imprenditoriale di Facciolo Antonio - consentendogli di acquistare a prezzi competitivi l’immobile necessario ad espandere la propria attività imprenditoriale - e, dall’altro, quello di consentire alla famiglia Tripodi di bypassare la procedura fallimentare avviata nel 2016 nei confronti della Triab Srl presso il Tribunale di Vibo Valentia, nell’ambito della quale il bene in questione sarebbe presto divenuto oggetto di esecuzione immobiliare».
Le indagini documentano incontri e colloqui tra Facciolo, Domenico Tripodi, Rocco Anello (classe ’91) e il padre capoclan Tommaso Anello. Incontri e colloqui che hanno l’obiettivo dapprima di sondare la possibilità di un acquisto, e poi di stabilirne il prezzo. Dalle intercettazioni emerge inoltre come Domenico Tripodi, prima di concludere l’affare, avesse necessità di interloquire «con altri», ovvero «con il fratello Santino Tripodi, all’epoca detenuto». L’attività tecnica degli investigatori ha inoltre consentito di delineare «anche i legami di natura personale esistenti tra gli esponenti delle due consorterie - con particolare riferimento all’interessamento della cosca Anello per le sorti giudiziarie dei detenuti della famiglia Tripodi ed all’elargizione di regalie destinate a questi ultimi in occasione delle festività natalizie - nonché l’esistenza di altre cointeressenze di natura illecita tra le due organizzazioni criminali, compreso un presunto traffico di sostanze stupefacenti».
L’acquisto mancato
Dall’esame delle banche dati e dai controlli - rimarcano i magistrati - si è giunti alla conclusione che l’affare «non si è concluso», anche se «per cause ignote», ma ad ogni modo «l’intera vicenda descritta, oltre a fornire ulteriori elementi in ordine ai rapporti sinallagmatici tra l’imprenditore Facciolo Antonio e la cosca Anello, cristallizzava quelli esistenti ed attuali tra gli stessi Anello ed il clan Tripodi di Porto Salvo».
Il Lido degli Aranci
Il “rispetto mafioso” tra gli Anello e i vibonesi viene cristallizzato dagli inquirenti anche in altri due episodi, che stavolta coinvolgono esponenti storici del clan Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia. Ancora una volta al centro delle vicende c’è l’imprenditore Antonio Facciolo.
È il luglio 2017, Facciolo si lamenta con Tommaso Anello di una grana all’interno di una struttura ricettiva che sta gestendo tramite la sua Golden Service, quello che un tempo era il “glorioso” Lido degli Aranci di Bivona. Grana da ricondurre al comportamento di un soggetto, poi identificato in Domenico Lo Bianco, fratello di Paolino Lo Bianco, che «stava continuando ad occupare un locale situato all’interno del residence». Facciolo riferisce ad Anello che l’anno precedente (anno 2016), «lo stesso soggetto - riassumono gli inquirenti - aveva preteso ed ottenuto una certa somma di denaro a titolo estorsivo (8.000 euro), affermando di doverla a sua volta consegnare a terze persone legittimate a riceverla (famiglia Tripodi di Porto Salvo). Nel mese di ottobre 2017, altre captazioni ambientali consentivano di accertare che anche per il 2017 il Lo Bianco si era fatto promotore della medesima richiesta estorsiva nei confronti di Facciolo».
Il summit tra Anello e i Lo Bianco
È qui che il boss di Filadelfia decide di risolvere la questione. È il 26 ottobre 2017, Tommaso Anello parte col figlio Rocco verso Vibo. Chiede - tramite Michele Barba - di incontrare Paolino Lo Bianco. L’intenzione è di «programmare un summit per il pomeriggio della stessa giornata» al cospetto «dei massimi esponenti di vertice della cosca vibonese: Lo Bianco Paolino, Lo Bianco Domenico, Catania Filippo e Barba Vincenzo». Un summit che ha registrato «voleri contrastanti», ma che si è concluso come chiesto da Tommaso Anello: Domenico Lo Bianco doveva riconsegnare l’immobile, e soprattutto, da quel momento in avanti, il denaro dell’estorsione doveva andare direttamente «alla famiglia di ‘ndrangheta territorialmente “legittimata” a riceverlo». Nel corso del summit intercettato, era chiaro il riferimento «ai fratelli Santino, Domenico e Antonio Tripodi».
L’estorsione divisa con i Tripodi
Ed infatti, «a conclusione di tutta la vicenda, nel mese di gennaio dell’anno 2018 l’attività tecnica confermava il buon esito dell’intervento della famiglia Anello. In effetti, il denaro che Facciolo Antonio doveva destinare alla cosca Tripodi di Portosalvo per l’estorsione relativa alla gestione del Lido degli Aranci veniva materialmente consegnato dall’imprenditore ad Anello Tommaso il quale, d’intesa con lo stesso Facciolo, provvedeva a trattenerne la metà per sé. Nelle medesime captazioni Facciolo forniva inoltre indicazioni sul quantum complessivamente elargito negli ultimi due anni (10.000 euro) precisando che, relativamente al primo di questi due anni, parte del denaro consegnato ai Lo Bianco veniva successivamente ceduto da questi ultimi ai Tripodi di Portosalvo, mentre nell’anno successivo l’importo di 10.000 euro veniva equamente ripartito tra le famiglie Anello e Tripodi».
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