Il claim del ristorante è «mangia, bevi, rilassati». I calabresi seduti al tavolo del locale per quello che – secondo i magistrati della Dda di Milano – era quasi un summit si sono trattati bene. Cucina di livello con ascendenze meridionali. Sul «rilassati» si potrebbe discutere ma la tensione non può essere addebitata allo chef. Il 20 ottobre 2023 per la prima volta si incontrano a Milano due lati oscuri: quello del tifo interista e quello della gestione dei servizi a San Siro. Era inevitabile che Pino Caminiti e Giuseppe Calabrò ’u Dutturicchiu si incontrassero con Antonio Bellocco. Parcheggi e ultrà: terreno in comune lo stadio Meazza, interessi diversi e la necessità di non pestarsi i piedi.

Prima di quella “mangiata”, il nome di Totò Bellocco, ucciso a coltellate dall’ultrà Andrea Beretta il 4 settembre scorso, viene evocato in una conversazione tra Caminiti e Calabrò, 74enne considerato dai magistrati vicino alle più importanti famiglie mafiose calabresi della Locride. L’anziano sa che il rampollo del clan di Rosarno punta a governare la curva interista. I modi della scalata, pare, non gli piacciono. Attorno allo stadio gravitano gruppi che fanno riferimento a più clan calabresi. ‘U Dutturicchiu (soprannome dovuto a un’antica iscrizione alla facoltà di Medicina) spiega al fido Caminiti «di aver appreso di un tentativo di “ingerenza” da parte di soggetti africoti nell’ambiente della curva Nord dell’Inter, aggiungendo che gli stessi potevano essere interessati anche a prendere il business dei parcheggi».

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Caminiti rilancia e informa Calabrò «della presenza, nell’ambiente degli ultrà, del rosarnese Antonio Bellocco, appartenente all’omonima cosca». Dal tenore della risposta, si intuisce che ‘u Dutturicchio non è entusiasta: «Arriva e si piazza lì quando c’è gente che era in attesa e non si faceva avanti». Quella presenza è ingombrante e rischia di terremotare i fragili equilibri criminali che gravitano nell’orbita di San Siro. Ai due – Caminiti e Calabrò – interessano soltanto i parcheggi: quel business è riservato a loro. Per l’anziano, Bellocco «doveva rimanere solo “in curva”» e, per di più, qualcuno da Rosarno sarebbe dovuto arrivare a Milano per parlare della cosa.

Il "summit" al ristorante arriva dopo questo scambio di idee. È Calabrò a chiedere di poter incontrare «una terza persona». Gli investigatori non ci mettono molto a capire di chi si tratti perché Caminiti organizza tutto con una videochiamata. Volti e nomi vengono allo scoperto grazie al trojan installato nel suo telefono. Ci si mette d’accordo in un attimo: «Pranziamo assieme». Bellocco si libera dai propri impegni («vengo con grande piacere soprattutto per conoscerlo») e raggiunge una comitiva che, nel frattempo, si è allargata. C’è anche un parente stretto di Calabrò, che di cognome fa Barbaro. I commensali commentano le foto di alcune persone che gravitano attorno allo stadio: Calabrò chiede i cognomi di ciascuno, «con chiaro riferimento – secondo gli investigatori – alla famiglia criminale di appartenenza».

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I pm sottolineano l’intervento finale di Barbaro che «ribadiva l’accortezza che avrebbero dovuto avere a causa dei numerosi soggetti “allettati” dagli interessi della curva». Vengono evocati i soliti «africoti». Caminiti resta da solo con Calabrò e un altro uomo non indagato e ribadisce che Belocco ha «preso in mano» la curva dell’Inter. Non c’è alcuna preclusione, purché a nessuno venga in mente di allargarsi sui parcheggi. Quel settore non si tocca. E Caminiti racconta l’episodio in cui Vittorio Boiocchi, lo storico capo ultrà ucciso nel 2022 da due sicari non identificati, «aveva cercato di sottrargli l’incasso dei parcheggi»: «Quando è sceso Vittorio Boiocchi che mi voleva portare via i soldi – spiega – io gli ho detto: per me questa è vita, mi devi ammazzare, sennò zaino non te lo do». Anche le curve sono un affare per i clan: «Ma tu cosa pensi che dalla curva del Milan non sanno che ci sono… non sanno che ci sono i calabresi dietro? Guarda che di lui (Antonio Bellocco) vanno in giro con le fotografie allo stadio perché sanno che c’è la famiglia Bellocco dietro la curva dell’Inter».

Bellocco, sintetizza il gip, spiega «di essere riuscito, sino a quel momento, a respingere ogni forma di interessamento da parte di altre espressioni della criminalità organizzata calabrese». Barbaro conferma: «Con Antonio gli vanno strette le scarpe perché questo fa faccia (non ha paura di nessuno, ndr). Questo lo vedi tanto (piccolo, ndr)… il polpaccio ti morde». Troppa concorrenza: i metodi spicci servono. Il finale, però, spesso si scrive nel sangue.