Breakfast, il procuratore introduce nuovi verbali del pentito Liuzzo: «Cogem impresa che faceva gli interessi di ‘ndrangheta. Matacena era socio palese». Attesa per oggi la sentenza
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«Scajola è un reo confesso. Non nega di essersi adoperato in favore di un latitante per reati di mafia ed aveva anche richiesto di poter patteggiare». È una replica durissima quella del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo “Breakfast” che si appresta ormai ad arrivare a sentenza (per Scajola il pm ha invocato quattro anni e sei mesi).
La decisione, infatti, è prevista per la giornata di oggi, a meno di stravolgimenti dell’ultima ora. Sul banco degli imputati, fra gli altri, l’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, e la moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena accusati di aver favorito la latitanza di quest’ultimo che, dopo una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, si trova ancora serenamente a Dubai, senza aver mai scontato la sua pena.
Liuzzo: Cogem strumento della ‘ndrangheta
All’inizio della mattinata, il procuratore aggiunto Lombardo, subito dopo aver iniziato la sua replica, ha introdotto un nuovo verbale del pentito Pino Liuzzo.
Questi, che aveva già ampiamente parlato della posizione di Amedeo Matacena e della sua galassia imprenditoriale, ha rilasciato nuove dichiarazioni parlando dell’impresa Cogem e affermando che il socio occulto sarebbe la ‘ndrangheta, mentre quello palese sarebbe Amedeo Matacena. «Cogem – spiega Lombardo – rientra all’interno di un gruppo di società strumentali agli interessi della ‘ndrangheta che Matacena perseguiva attraverso Giuseppe Aquila».
Le cosche di riferimento, dunque, sono quelle dei Condello e Rosmini. E Liuzzo, sotto questo profilo, sta raccontando agli inquirenti tutte le dinamiche che governano la realtà imprenditoriale reggina di cui la ‘ndrangheta, in tanti casi, sarebbe socia occulta.
Scajola reo confesso
Ma la replica del procuratore Lombardo è servita anche a delineare ulteriormente la figura di Claudio Scajola: «Parliamo di un reo confesso. Lui non nega, in più occasioni durante il suo esame, di essersi adoperato in favore di un latitante per reati di mafia». Ed è in questo frangente che il magistrato ha introdotto un elemento di non poco conto: Claudio Scajola aveva chiesto di patteggiare la pena.
«So che c’è un orientamento dottrinale che tenta di sostenere che il peso della richiesta di patteggiamento sia pari a zero. Ma la Suprema Corte, in più occasioni, ha detto il contrario». E giù con diverse pronunce della Cassazione dove, fra l’altro, si afferma che non si va dal pubblico ministero a chiedere un patteggiamento senza ammettere la propria responsabilità. Ma quale sarebbe la ragione per la quale Scajola aveva chiesto il patteggiamento? Lombardo ha ricordato quella portata dalla difesa: «Voleva evitare il clamore mediatico». Una ragione che non convince per nulla il pubblico ministero: «Ma il clamore mediatico risale all’otto maggio. Mentre la sua richiesta è del 24 settembre del 2014».
Stato parallelo
Nel corso della sua replica, il procuratore ricorda la sua correttezza, nel corso del dibattimento, nell’ammettere come diversi testi chiamati a rendere esame siano stati tempestivamente avvisati di essere indagati. Come, ad esempio, l’imprenditore Vincenzo Speziali. Ma non solo. «Amin Gemayel è indagato. Lo è Speziali e lo è anche Pizza. Sono tutti indagati, così come le persone che vi sono all’interno dell’informativa affrontata dal sostituto commissario Gandolfo».
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La chiusura Scajola-Rizzo
Quanto, infine, alla lettera d’addio risalente al 13 febbraio 2014, con la quale la difesa di Scajola ha ritenuto di poter provare l’interruzione dei rapporti fra l’ex ministro e Chiara Rizzo, Lombardo la considera di poco valore probatorio: «In presenza di un qualche sentimento, ci sono condotte delittuose che perdono il loro disvalore penale. Ho la spiacevole sensazione che quel sentimento diventi, di contro, il collante migliore per rappresentare alla vostra attenzione il motivo per cui un uomo dello Stato ha consumato gravi reati. Non ci si è resi conto – afferma il pm rivolgendosi al Tribunale – che portare alla vostra attenzione un rapporto di conoscenza avvenuto negli ambienti di cui abbiamo sentito parlare, sia in realtà la genesi di una spinta nei confronti di una famiglia che ha un legame ben diverso. Scajola sapeva che il suo agire era penalmente rilevante. Perché lo sapeva? Perché il 24 settembre era stato lui ad ammettere che la soluzione migliore era chiudere la vicenda con una sentenza di patteggiamento. Tutto quello che è stato fatto per Matacena ha una evidentissima rilevanza penale».