A rivelarlo è Andrea Mantella, ex capo dell’omonimo gruppo criminale di Vibo Valentia. Le sue dichiarazioni sono agli atti delle inchieste Carminius e Rimpiazzo. A voler colpire i pm sarebbe stato Francesco D’Onofrio, originario di Mileto, considerato il referente dell’organizzazione criminale calabrese all’ombra della Mole
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Dovevano essere eliminati perché davano fastidio con le loro inchieste. Troppo scomodi per boss e picciotti che dal Piemonte alla Calabria avevano deciso di colpire alcuni dei magistrati più impegnati sul fronte delle inchieste antimafia. E’ Andrea Mantella, l’ex capo dell’omonimo gruppo criminale di Vibo Valentia staccatosi dal clan Lo Bianco, a svelare diversi particolari inediti ai magistrati della Dda di Torino. Lo fa attraverso una serie di verbali finiti agli atti delle inchieste “Carminius” della Dda di Torino e “Rimpiazzo” della Dda di Catanzaro. A voler colpire i magistrati sarebbe stato Francesco D’Onofrio, originario di Mileto, ma residente a Nichelino, in Piemonte, che è stato condannato di recente a 6 anni per mafia in appello a Torino. D’Onofrio è stato un militante della formazione terroristica “Prima Linea” e condannato per questo in passato anche per il reato di banda armata.
Le parole del collaboratore di giustizia
Un personaggio sul quale anche il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato - interrogato dai pm della Dda di Torino nel settembre 2016 nel carcere di Rebibbia - ha affermato (riportando il racconto di un altro detenuto) che «possiede armi in quantità maggiore rispetto all’intero locale di ‘ndrangheta di Piscopio ed è amico dei fratelli Bonavota». E’ però il collaboratore di giustizia, Andrea Mantella ad entrare più nel dettaglio sull'intenzione di eliminare i magistrati. «In carcere D’Onofrio mi disse che aveva dell’astio nei confronti della magistratura torinese. Diceva che le Dda di Reggio e di Torino gli avevano fatto delle tragedie – rivela Mantella – e che lo stavano rovinando e per questo bisognava prendere dei provvedimenti su alcuni magistrati, sia in Calabria che a Torino. Mi ha detto che c’era un procuratore che gli stava alle calcagna: non mi ricordo il nome di costui, ma mi disse che questo magistrato avrebbe dovuto fare la fine di quell’altro magistrato di Torino che era stato ucciso», vale a dire il procuratore Bruno Caccia ucciso nel 1983 a Torino. Il periodo di detenzione di Mantella insieme a D’Onofrio risale al 2013, periodo in cui il pm della Dda di Torino, Roberto Sparagna, da tempo sotto scorta, conduceva indagini proprio su D’Onofrio e sulla ‘ndrangheta calabrese trapiantata in Piemonte, colpita con le operazioni “Crimine” e soprattutto “Minotauro”.
Il “ministro della ‘ndrangheta”
Secondo il collaboratore, Francesco D’Onofrio (in foto) sarebbe una sorta di «ministro della ‘ndrangheta, con il grado mafioso di diritto al medaglione, una dote molto alta. Uso il termine ministro – dichiara Mantella – perché la ‘ndrangheta ha i suoi referenti al Nord e in Piemonte c’è lui. Tanto è vero che ha potuto far attivare un locale di ‘ndrangheta a Piscopio come ho potuto constatare personalmente per via della sua carica. D’Onofrio so che è attivo a Torino nel settore della sanità, traffica droga con i Piscopisani, gli Arone e i Bonavota. Diceva di essere a Torino in rapporti con i fratelli Crea, anche se loro erano più azionisti mentre lui cercava di rimediare in silenzio, di fare più politica ed era meno esaltato dei fratelli Crea. Ho rivisto in carcere D’Onofrio negli scorsi anni. Aveva a disposizione – rivela Mantella – un ufficietto dove si fa la spesa e secondo lui era bonificato e quindi lì dentro parlavamo di come erano andate le cose. Mi spiegò che aveva portato i Piscopisani Galati, Battaglia e Fiorillo da Peppe Commisso a Siderno per aprire il locale di ‘ndrangheta di Piscopio. Nel Vibonese, Francesco D’Onofrio rappresentava la ‘ndrangheta di San Luca e sentivo che avevano in comune un traffico di droga». Accordi mafiosi e piani di morte, quelli svelati da Andrea Mantella, sui quali sono in corso i necessari approfondimenti investigativi.