L'ex calciatore di Lazio e Genoa e il rampollo della potente cosca di Gioia Tauro tirati in ballo dal nuovo collaboratore di giustizia Domenico Ficarra detto "corona" arrestato nell'inchiesta Cavalli di razza
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Beppe Sculli, ex calciatore di Lazio e Genoa, e nipote del boss Giuseppe Morabito “u Tiradrittu”, Carlo Zacco, “trafficante” siciliano il cui padre, “Nino il bello”, negli anni Ottanta fu proconsole milanese di Cosa nostra, Girolamo Piromalli, detto Mommino, il cui nonno omonimo è a capo di una delle più potenti cosche della Calabria, sarebbero, secondo quanto riporta Il fatto quotidiano, i nuovi re della mala di Milano.
Questo nuovo scenario – che, secondo quanto raccontato dal giornalista Davide Milosa, vede summit mafiosi organizzati ai tavoli di ristoranti di lusso della città meneghina, boss in trasferta che alloggiano nel prestigioso hotel Palazzo Parigi e concessionarie di supercar gestite in modo occulto dalla cosca dei Commisso di Siderno – sarebbe emerso dalle dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia Domenico Ficarra, classe ’84, detto “Corona” coinvolto nell’inchiesta “Cavalli di razza”, coordinata dalla Dda di Milano e accusato, oltre che di estorsione, anche di essere tra i capi di un’organizzazione mafiosa tra Milano e Como.
«La famiglia Ficarra – spiega il nuovo pentito in uno dei sei verbali depositati dalla Procura al processo con rito abbreviato iniziato ieri è stata sempre al servizio di Molè (…). Fino all’omicidio di Rocco Molè (2008) eravamo a sua disposizione per tutto. Io rimasi sconvolto, ero molto legato a Rocco, dopo l’omicidio sono salito a Milano (…). Abbiamo colto l’occasione per iniziare a insediarci in Lombardia», mirando Cesare Pravisano, ex politico e funzionario di banca, e avvicinandosi ai Piromalli. «Pravisano – spiega Ficarra – era diventato il nostro bancomat».
Domenico Ficarra, racconta che lo zio Massimiliano Ficarra, anche lui coinvolto nell’inchiesta e finito in carcere per un giro di frodi fiscali, è il commercialista della cosca. «Era a disposizione di Rocco Molè e riciclava i loro soldi (…) organizzava truffe milionarie e Molè incassava gli interessi (…). Dopo la morte di Molè si era avvicinato ai Piromalli (…). Seguiva l’autolavaggio di Girolamo Piromalli detto Mommino», boss in ascesa all’interno della cosca con interessi a Milano, indagato per mafia in Calabria. Secondo il pentito, il «trafficante di droga» è invece Antonio Carlino, che con il commercialista Ficarra si è preso l’esclusivo ristorante “Unico” all’ultimo piano del World Join Center, primo grattacielo della nuova Milano verticale.
«Carlino – spiega Ficarra – mi disse di appartenere alla ‘ndrangheta e in mia presenza tirò fuori un sacco con dentro mezzo milione in contanti. Sul tavolo aveva 6 chili di cocaina» che «furono portati a Milano (…). Un chilo è stato dato a Giuseppe Sculli in via San Marco a Milano (…) presso un’abitazione di Sculli data in affitto a Daniele Ficarra (zio del pentito, ndr). Mio zio mi ha riferito di cessioni di cocaina a Carlo Zacco il quale venne anche da me per chiedermi dove trovare mio zio per avere droga (…). Carlino aveva grosse disponibilità economiche (…) e necessità di riciclare denaro (…). Quando veniva a Milano alloggiava all’hotel Palazzo Parigi».
Secondo quanto riportato da Il fatto quotidiano, al momento, sia Sculli che Zacco non sono indagati. Sculli, ex calciatore di serie A, viene tirato in ballo dal pentito anche per una vicenda sull’affare dei trasporti per conto della Spumador Spa, gestiti in totale monopolio dallo zio di Ficarra. Una parte di questi, racconta il giornalista Milosa – venivano dati ad altri calabresi, la famiglia Palmieri imparentati con i Medici a loro volta legati al clan Muscatello. «La ragione del mio intervento – sostiene Ficarra – è dovuta al fatto che Palmieri voleva allargarsi e avere più lavori». A tal proposito il pentito fa il nome di Sculli, al quale un suo uomo di fiducia deve portare «l’ambasciata». Tutto questo si svolge nel 2020.
«Angelo Molteni – spiega Ficarra – doveva recarsi da Giuseppe Sculli, nipote di Giuseppe Morabito Tiradrittu, per farlo intervenire sui Palmieri in quanto sia loro che i Morabito sono famiglie della Ionica». Quell’incontro – che secondo il racconto del pentito era un incontro di ‘ndrangheta – però, non si sarebbe mai tenuto. «Molteni doveva togliersi l’orecchino, perché quando si va a incontri di ‘ndrangheta occorre presentarsi puliti e gli orecchini sono visti negativamente», spiega Ficarra.
Il pentito racconta anche della conoscenza con i Pio di Desio, famiglia coinvolta nell’operazione Infinito. «I Pio erano conosciuti come persone appartenenti alla ‘ndrangheta». Proprio loro avrebbero avuto a disposizione il ristorante “Unico” «per un incontro con i cinesi (…). Carlino aveva messo a disposizione il ristorante».