Deposizione del collaboratore di giustizia di Catanzaro, già organico alla cosca dei Gaglianesi. I viaggi nel capoluogo di regione per ripulire le auto sporche di sangue dopo gli agguati e gli inganni per eliminare i rivali
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Lo scontro per la conquista del potere mafioso a Mileto al centro della deposizione di Tommaso Mazza, il collaboratore di giustizia di Catanzaro chiamato dalla Dda per deporre nel maxiprocesso nato dalle operazione Maestrale-Carthago, Imperium e Olimpo.
«Collaboro dal 1995 – ha spiegato Tommaso Mazza rispondendo alle domande del pm Andrea Buzzelli – e facevo parte del clan dei Gaglianesi con competenza sulla città di Catanzaro. Ero io la persona preposta a contattare le aziende nel capoluogo di regione per chiudere le estorsioni. Di Mileto conoscevo i fratelli Giuseppe e Nazzareno Prostamo, Pasquale Pititto e Michele Iannello poiché nel 1988 siamo stati detenuti insieme nel carcere di Vibo. Loro venivano spesso a Catanzaro e in particolare Giuseppe Prostamo aveva una faida a Mileto con Carmine Galati che era invece molto accreditato con i Mancuso, nonché molto amico di Franco Giampà di Lamezia Terme. Tuttavia, Pasquale Pititto e Michele Iannello (cognato di Nazzareno Prostamo) credevano di avere loro il sostegno dei Mancuso. Ricordo che in quel periodo Giuseppe Prostamo era alla ricerca di un’auto blindata e io stesso mi sono recato più volte a San Giovanni di Mileto da loro».
Il delitto di Pietro Cosimo a Catanzaro
Quindi il riferimento all’omicidio di Pietro Cosimo, commesso a Catanzaro il 17 gennaio del 1990 e per il quale sono stati condannati all’ergastolo Nazzareno Prostamo e Pasquale Pititto, ritenuti gli esecutori materiali del delitto. L’omicidio di Pietro Cosimo, secondo le sentenze definitive, sarebbe stato ordinato dal futuro boss di Catanzaro, Girolamo Costanzo, a capo del clan dei “Gaglianesi” (dal nome del quartiere Gagliano di Catanzaro). Costanzo per eliminare Pietro Cosimo – ritenuto personaggio scomodo nell’ambito della mala catanzarese – avrebbe commissionato il delitto a Nazzareno Prostamo e Pasquale Pititto dietro il pagamento di cinque milioni di lire, facendo anche leva sul mancato pagamento di una fornitura di eroina da parte di Pietro Cosimo nei confronti dei due personaggi di San Giovanni di Mileto.
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I Mancuso e lo scontro a Mileto
Tommaso Mazza ha spiegato di aver messo più volte in guardia Pasquale Pititto e Michele Iannello sulla “falsa politica” attuata da Giuseppe e Luigi Mancuso ai loro danni promettendogli un aiuto nella faida che di fatto non è mai arrivato.
«Luigi e Peppe Mancuso – ha dichiarato il collaboratore – si servivano di Pasquale Pititto per fare degli omicidi e lo mandavano anche al Nord insieme a Nazzareno Prostamo per commettere fatti di sangue. Per avere degli appoggi, Pititto e Iannello si recavano spesso da noi Gaglianesi a Catanzaro. Sia Pasquale Pititto che Nazzareno Prostamo volevano uccidere Carmine Galati ma dovevano avere il via libera da Luigi Mancuso il quale li ingannò dicendogli che prima avrebbero dovuto uccidere gli Evolo di Paravati. Antonino Evolo venne così attirato in una trappola, fatto salire con una scusa in macchina e mentre Michele Iannello guidava, Pasquale Pititto dal sedile di dietro uccise con un colpo di pistola alla nuca lo stesso Evolo seduto sul sedile anteriore dal lato passeggero. Dopo il delitto, Michele Iannello e Pasquale Pititto arrivarono a Catanzaro da me perché dovevano ripulire la tappezzeria dell’auto tutta insaguinata. La macchina era di Michele Iannello. Successivamente Iannello e Pititto chiamarono uno dei Tavella di Mileto il quale con un escavatore ha sotterrato il corpo di Evolo».
Era il 13 settembre del 1990 e il cadavere di Antonino Evolo (all’epoca della scomparsa aveva 36 anni) è stato ritrovato il 24 agosto 1994 in località Fego Russo, al confine tra le campagne di Mileto e Francica, durante alcuni lavori di scavo. Si trovava a cinque metri di profondità ed insieme ai resti di Antonino Evolo è stata ritrovata sotto terra anche la sua vespa.
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Gli omicidi e la faida
Gli sviluppi della faida combattuta a Mileto sono stati così spiegato dal collaboratore Tommaso Mazza: «Qualche mese prima, Carmine Galati ha sparato a Pasquale Pititto, ma a trovare la morte è stato un fratello di Michele Iannello”, ovvero Nazzareno Iannello il cui cadavere è stato rinvenuto il 28 gennaio 1990 in un terreno di San Giovanni di Mileto. Il 17 aprile 1990 nuova imboscata contro Pasquale Pititto, ma “a rimanere ucciso è stato un suo cugino», ovvero Antonio Tavella. Nel terzo agguato, però, avvenuto nel 1992, Pasquale Pititto rimane gravemente ferito e finisce da allora sulla sedia a rotelle.
Pasquale Pititto boss nonostante la detenzione
Condannato a 25 anni di reclusione (pena definitiva) nel processo nato dalla storica operazione “Tirreno” scattata nel 1993 ad opera dell’allora pm della Dda di Reggio Calabria Roberto Pennisi, Pasquale Pititto, unitamente al cognato Michele Iannello (collaboratore di giustizia e condannato per l’omicidio di Nicolas Green) è stato ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio di Vincenzo Chindamo e del tentato omicidio di Antonio Chindamo, fatti di sangue commessi a Laureana di Borrello l’11 maggio 1991 su mandato del boss Giuseppe Mancuso di Limbadi.
Finito per un determinato lasso temporale agli arresti domiciliari per motivi di salute, anche dalla sua abitazione di San Giovanni Pasquale Pititto avrebbe diretto gli affari criminali su Mileto (droga ed estorsioni) e per questo si trova ora imputato nel maxiprocesso Maestrale-Carthago unitamente a Nazzareno Prostamo. Quest’ultimo si trova detenuto anche per il tentato omicidio di Rocco La Scala, ambulante gravemente ferito a colpi di pistola (tanto da restare paralizzato) il 13 settembre 2011 a Mileto. Il boss Giuseppe Prostamo è stato invece ucciso il 4 giugno 2011 nella piazza di San Costantino Calabro da un soggetto vicino ai Fiarè di San Gregorio d’Ippona.