Una condanna definitiva a trent’anni per il concorso nell’omicidio di Francesco Scrugli, il killer vibonese braccio destro di Andrea Mantella, alleatosi ai Piscopisani e ucciso il 21 marzo 2012 a Vibo Marina, nel contesto della faida coi Patania. Sette anni di detenzione, poi la decisione di saltare il fosso: dal carcere di Taranto alla sezione speciale di Rebibbia. Giuseppe Comito era un soldato al servizio di Pantaleone Mancuso alias Scarpuni, il mammasantissima di Nicotera Marina, e di Nino Accorinti, lo storico capobastone di Briatico. C’è anche la sua voce a spiegare quanto l’industria turistico-alberghiera vibonese fosse sotto il controllo della malavita. Egli aveva una piccola impresa di impianti elettrici, ma l’impiego sicuro era quello che i due capimafia gli assicurarono come guardiano in uno dei villaggi dei fratelli Stillitani.

Il racconto di Comito

«Ma lei – domandano i pm di Catanzaro – il guardiano lo faceva davvero?». «Sì, sì», risponde. «E ce n’era bisogno?». «No, non ce n’era bisogno», perché tutti sapevano che lì c’era la protezione di Nino Accorinti e «si potevano lasciare anche i cancelli aperti». Nessuno si sarebbe mai permesso di far danni. Comito, interrogato nell’ambito della maxi-inchiesta Imponimento, quella che ha fotografato lo strapotere del clan Anello di Filadelfia dall’Angitolano fino ai boschi delle Preserre catanzaresi, dimostra di conoscere dettagliatamente non solo quanto avveniva nel villaggio di località Difesa a Pizzo, passato col tempo dalla gestione dei fratelli Francescantonio (ex consigliere ed assessore regionale) ed Emanuele Stillitani a quella dei «francesi» e, infine, dei «tedeschi». Egli era ben consapevole anche delle dinamiche interne al Club Med, al confine tra Pizzo e Curinga, dove – dice – c’erano «gli Anello, che si occupavano della guardiania, e i Bonavota con Facciolo».

Facciolo, Antonio, docente di Filosofia divenuto manager e imprenditore turistico, figura considerata vicina prima ai Bonavota ed in seguito agli Anello, sarebbe stato una figura chiave nell’ambito della gestione criminale dei villaggi degli Stillitani. Fu «cacciato» - dice il collaboratore - dal primo villaggio ma i Bonavota, malgrado un tentativo di intercessione, non poterono farci nulla perché quello sarebbe stato un villaggio controllato, appunto, da Scarpuni e Accorinti. Lo spostarono così al secondo, che ricadeva sotto la loro diretta influenza. Da un lato e dall’altro, il controllo era pressoché totale, dalle guardianie alla gestione vera e propria dei contratti e dei servizi necessari ad assicurare l’accoglienza dei turisti: servizi di navetta, lavanderia, giardinaggio, impiantistica.

Le imprese collegate alle cosche e il pizzo

Comito era un testimone diretto di come funzionassero le cose. O per i villaggi lavoravano imprese direttamente legate alle cosche oppure, se non erano legate, dovevano pagare il pizzo. E se si tardava nei pagamenti venivano adottati metodi tanto silenziosi quanto efficaci: «Ne facevano attendere i camion per lo scarico della merce per ore, in modo tale da mandare un segnale che puntualmente veniva recepito». E ancora: «Più che evitare fastidi di vario genere, i guardiani controllavano la gestione, verificavano quanto guadagnavano i fornitori, le imprese che erogavano i servizi ed esigevano il pizzo». E se era necessario si ponevano «a disposizione», come quella volta che a mezzo intimidazioni ed incendi, misero in ginocchio un lido balneare che rischiava di creare problemi agli affari degli Stillitani.

Insomma, così funzionava a Pizzo, almeno prima di Imponimento. Metafora di quanto fosse asfissiante il controllo del crimine organizzato in tutto il comparto turistico della magnifica Costa degli dei.