VIDEO | Non solo Inzitari. Da Bartuccio a De Masi: 150.000 euro per far saltare in aria un uomo sotto scorta. A rischio anche alcuni collaboratori di giustizia. Le rivelazioni del pentito Formosa: «Eravamo un gruppo di fuoco satellite che doveva favorire pure altre famiglie mafiose»
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Doveva morire, Pasquale Inzitari. E nella lista nera del clan Crea ci sarebbe stato anche qualcuno che viaggiava su un’auto blindata, gente sotto scorta: un attentato per il quale sarebbero stati investiti ben 150.000 euro. Forse l’obiettivo era l’ex sindaco Nino Bartuccio, forse l’imprenditore Nino De Masi. Tutto ciò in un’area che, per le malsane attenzioni della ‘ndrangheta, aveva visto finire sotto protezione anche un giornalista, Michele Albanese. I magistrati antimafia scrivono di un «numero imprecisato di omicidi programmati», anche di pentiti. Il neo collaboratore di giustizia Gianenrico Formosa - incalzato sul punto - indica «venti azioni di fuoco da compiere» e parla di armi d’ogni genere. Su ciò i carabinieri del Ros e la Squadra mobile di Reggio Calabria, come si legge tra le pieghe dell’inchiesta Declino - che ha permesso di disarticolare la rete che ha protetto la latitanza di Domenico Crea, figlio ed erede del mammasantissima di Rizziconi Teodoro Crea - hanno acquisito poderosi riscontri grazie alle intercettazioni.
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«Anche per altre famiglie…»
Il commando coinvolto, arrestato e condannato in primo grado per l’omicidio di Marcello Bruzzese, fratello del collaboratore di giustizia Girolamo, era interessato a reperire esplosivo C4 e C7, un bazooka, carabine di precisione, pistole, mitragliette, bombe a mano. L’ultima gola profonda indica quale fonte delle sue conoscenze Francesco Candiloro, uno dei sicari dei Crea. E specificava: «Queste azioni non erano riconducibili solo alla cosca Crea, ma nascevano dalla convergenza di famiglie mafiose vicine ai Crea-Alvaro che, però, non mi vennero nominate espressamente. In particolare – aggiungeva Formosa in un interrogatorio risalente al 7 aprile 2022 – il gruppo di fuoco era una sorta di gruppo satellite del sodalizio criminoso dei Crea e degli Alvaro e avrebbe agito anche per favorire gli interessi di altre famiglie mafiose interessate all’eliminazione di terzi soggetti; chiaramente, per il predetto gruppo satellite, la realizzazione di azioni omicidiarie anche per conto di altre famiglie era un modo di accreditarsi di fronte ai vertici dell’organizzazione mafiosa».
«Che campi cent’anni…»
In pratica, l’operazione del Ros che condusse alla cattura dei killer di Marcello Bruzzese – Francesco Candiloro e Michelangelo Tripodi, condannati in primo grado all’ergastolo – congiuntamente al blitz della Squadra mobile di Reggio Calabria che nell’agosto 2019 catturò Domenico Crea, avrebbero scongiurato un bagno di sangue, ritenuto necessario sia per placare la sete di vendetta di una delle cosche più feroci e parassitarie, sia per rilanciarne il blasone rispetto alle altre grandi famiglie, offuscato dalle carcerazioni eccellenti e dalle precarie condizioni di salute dello storico patriarca, Teodoro Crea, oggi 84 anni ed ergastolano.
«Speriamo che campi cent’anni… Se dovesse morire, i problemi ora vi vengono…», sostenevano alcuni uomini della cosca coinvolti nell’inchiesta che ha smembrato la rete di protezione di Crea il giovane, coccolato dagli affiliati ma anche dal clan Mancuso di Limbadi, che gli mise a disposizione anche una deliziosa villetta sulla Costa degli dei. Più selvaggio e vecchio stile, invece, il covo che con la complicità di uomini collegati ai Piromalli-Molé, i grandi casati misero a disposizione di Giuseppe Crea, fratello maggiore di Domenico: un bunker nelle viscere dell’Aspromonte, in una zona impervia del territorio di Maropati, dove fu stanato, nascosto al pari di un roditore, il 26 gennaio 2016, assieme a Giuseppe Ferraro, primula rossa dei Ferraro-Raccosta di Oppido Mamertina.