Anche se qualcosa non quadra nella ricostruzione fornita alla Dda di Reggio Calabria, per l’agguato del 16 marzo dello scorso anno quando perse la vita l’innocente Fortunata Fortugno e rimase ferito Demetrio Logiudice, alias “Mimmu u boi”, Mario Chindemi rappresenta un collaboratore di giustizia molto “importante” per fare luce sui fatti di sangue, e su altri gravi reati perpetrati a Gallico. Il quartiere alla periferia nord della città infatti, da dieci anni è diventato un “feudo” conteso tra gruppi sanguinari che a suon di attentati e omicidi si contrappongono per l’esercizio del potere criminale. Chindemi è stato arrestato nel luglio dello scorso anno, nell’ambito dell’operazione condotta dalla Squadra Mobile e denominata non a caso “De Bello Gallico” e nel dicembre scorso ha deciso di incontrare i pm Walter Ignazitto e Diego Capece Minutolo per intraprendere un percorso di collaborazione. A seguito delle sue dichiarazioni la Procura, guidata da Giovanni Bombardieri, non ha comunque esitato a richiedere un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti proprio per l’omicidio della donna e il tentato omicidio di Logiudice, ritenuto non solo esponente dell’omonima consorteria, ma anche un uomo dei Tegano, una delle ‘ndrine più influenti in tutta la città. La richiesta è stata accolta in pieno dal gip Pasquale Laganà il quale, proprio nell’ordinanza, sottolinea come Mario Chindemi abbia «riferito sulle dinamiche criminali relative al controllo mafioso del territorio di Gallico».

Doti e affiliazioni

Oltre all’agguato del marzo 2018 il pentito ha riferito anche sulla morte del fratello Pasquale, assassinato, sempre a Gallico, la sera del 15 febbraio dello scorso anno. Una morte avvenuta un mese prima dell’imboscata a Logiudice e che avrebbe generato tensioni e sentimenti di vendetta all’interno del gruppo conferendo, secondo l’Antimafia, la leadership al figlio Paolo, finito in manette proprio nell’inchiesta sull’imboscata agli amanti di Gallico. «È mia intenzione riferire in merito alle vicende che hanno riguardato mio fratello Pasquale, ha dichiarato Mario Chindemi, affiliato sin dal 1982 alla famiglia Araniti di Sambatello (quartiere sempre a nord di Reggio ndr). Devo premettere che nell’ambito della cosca Araniti mio fratello era stato battezzato. La sua dote era la “santa” che gli era stata data dagli Araniti». Il collaboratore infine, ammette di essere egli stesso inserito nell’organigramma criminale di Sambatello con la dote di “sgarro” mentre il nipote Paolo «era associato alla cosca di Gallico ed era picciotto ‘ndranghetista. Era stato battezzato da Nuccio Callea. Io ero stato battezzato da Santo Araniti nel 1990 in un capannone vicino Gallico». Ma l’identità della persona che gli conferì lo “sgarro” non è stata ancora resa pubblica dagli inquirenti. Il nome è infatti omissato.

«Mio fratello Pasquale voleva impadronirsi di Gallico»

Il 14 dicembre ai pm che lo interrogano racconterà della contrapposizione nata tra il 2015 e il 2016 «tra il gruppo riconducibile a Callea e quello dei Condello», per il controllo di Gallico. Sono anni molto difficili per le cosche del territorio. Gran parte di capi e affiliati sono finiti dietro le sbarre e i contrasti tra le varie famiglie satelliti, da un lato i Chindemi-Pellicanò-Bilardi e dall’altro i Chirico-Condello, avevano dato avvio ad una vera e propria faida. Una faida iniziata dall’omicidio del boss Domenico Chirico, capo della 'ndrangheta della Vallata del Gallico, assassinato il 20 settembre 2010 per motivi di supremazia mafiosa mentre si recava in un cantiere edile, a cui seguì la “risposta” con l’uccisione di Giuseppe Canale, ritenuto il boss emergente della 'ndrangheta della zona, avvenuto il 12 agosto del 2011. Per quest’ultimo delitto nei giorni scorsi sono stati condannati all'ergastolo, all’esito del giudizio di primo grado, sette persone ossia Antonino Crupi, Giuseppe Germanò, Filippo Giordano, Sergio Iannò, Cristian Loielo, Domenico Marcianò e Salvatore Callea mentre i due collaboratori di giustizia, Nicola Figliuzzi e Diego Zappia, hanno rimediato rispettivamente 17 anni e quattro mesi e 15 anni e quattro mesi. Dopo questi fatti di sangue Mario Chindemi sostiene che i Condello avevano individuato nel fratello Pasquale  «il loro referente per la zona di Gallico» il quale prima di essere ucciso era a capo di un gruppo composto «da lui stesso, dice il pentito, dal figlio Paolo, da Antonio Mordà e dai Pellegrino». Ed è proprio nell’ambito dei contrasti sorti per il controllo di Gallico che maturava l’omicidio del fratello Pasquale. «Mio fratello - ha dichiarato - voleva impadronirsi di Gallico. Abbiamo pensato che dietro la sua morte potesse esserci il gruppo di Nuccio Callea. Le pettorine Dia sequestrate prima del nostro arresto - ha aggiunto - erano destinate a commettere un attentato ai suoi danni». I Callea erano diventati quindi i “loro” nemici e secondo Chindemi l’agguato in cui perse la vita la Fortugno non era destinato a togliere di mezzo Logiudice bensì a rapinare un’ignara coppia appartata nella propria auto. Con quest’auto avrebbero voluto infatti compiere «attentati - uno dei quali ai danni di un esponente di rilievo del “locale” di Gallico, Nuccio Callea - funzionali alle strategie criminali del gruppo ‘ndranghetistico guidato da Paolo Chindemi». Una versione questa che al momento non convince la Dda e che è in attesa di riscontri.

La frangia autonoma guidata dal giovane rampollo Paolo

Una volta ucciso Pasquale Chindemi, come la ‘ndrangheta insegna, il comando passa di padre e in figlio. Secondo le risuntanze investigative della Mobile adesso anche il collaboratore di giustizia dichiara, senza mezzi termini, che a guidare il gruppo era il giovane Paolo Chindemi. Il gruppo infatti, costituì una “frangia autonoma” che oltre a Mario e Paolo Chindemi sarebbe stata composta - è scritto nell’ordinanza cautelare - da Santo Pellegrino, Ettore Bilardi e Petro Pellicanò e in questo ambito un ruolo di primo piano era stato assunto dal giovane nipote Paolo. «Dopo la morte di mio fratello a prendere le decisioni all’interno del gruppo era mio nipote Paolo - ha riferito -. Cosi ad esempio era stata sua la decisione di rubare i motorini, di fare l’attentato a Pontari o l’intimidazione all’abitazione di tale Idone in via Garibaldi. Era stato battezzato da Nuccio Callea - aggiunge - e quindi aveva la “copiata di Gallico” il che lo legittimava ad operare in quella zona con maggiore autorevolezza rispetto a me che avevo la “copiata di Sambatello”». Il nipote sarebbe stato quindi l'erede 'ndranghetista naturale.

Il “Bumbularo” era un sodale dei Callea

Mario Chindemi ha «un consistente patrimonio conoscitivo». A sottolinearlo è lo stesso gip Laganà nell’ordinanza che ripercorre tutte le tappe, finora percorse dal pentito il quale, nel corso dei mesi di attiva collaborazione con la giustizia, dal dicembre scorso ad oggi, ha esposto «una serie notevole di informazioni e notizie, sia di diretta percezione che apprese da altri in merito al contesto criminale di matrice ‘ndranghetistica operante nel locale di Gallico e nei territori limitrofi». E nel grande mare di fatti, notizie e informazioni criminali varie, Chindemi ha dichiarato che a Gallico avrebbe operato «un gruppo composto da Sebastiano Callea di Ortì, che è a capo della consorteria, Domenico Marcianò, detto “briscola”, Antonino Crupi, e Francesco Catalano detto “Ciccio il bombolaro” . Quest’ultimo è stato assassinato, ad Arghillà mentre faceva rientro nella sua abitazione, la sera del 14 febbraio scorso ad un anno esatto di distanza dall’omicidio di Pasquale Chindemi. Coincidenze? Nella ‘ndrangheta non esistono. Il messaggio è esso stesso azione criminale. Catalano non era uno qualunque. Da sempre vicino ai Condello, in passato aiutò l’ex latitante Paolo Iannò, oggi collaboratore di giustizia, e rimediò 5 anni di carcere per associazione mafiosa in uno dei tronconi del processo “Olimpia”. Coinvolto anche nelle inchieste “Mare monti” e “Vertice”, avrebbe aiutato a nascondersi in un’abitazione il mammasantissima Pasquale Condello. Chindemi era in galera quando il “bumbularo” è stato assassinato, ma considerati i tantissimi “omissis” presenti nei suoi verbali, stesi con i pm, sicuramente ha fornito il contesto mafioso e il movente che hanno generato l’ultimo omicidio di ‘ndrangheta avvenuto, in ordine cronologico, in città.