Nei verbali dell’ex capo ultrà dell’Inter il racconto della conoscenza con Pino Caminiti, presunto ras calabrese dei parcheggi di San Siro: «Ci occupavamo della sicurezza di un israeliano che trattava diamanti. Con i clan però non ho mai lavorato»
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Pino Caminiti non è soltanto il presunto ras dei parcheggi di San Siro. È anche accusato dell’omicidio di Fausto Borgioli, ucciso nell’ottobre 1992, quando aveva 50 anni. Quello di Borgioli è un cold case che la Dda di Milano ha riaperto - arrestando Caminiti - nello scorso mese di ottobre, quando le indagini sulle infiltrazioni criminali della ’ndrangheta a San Siro hanno illuminato gli angoli bui delle curve interista e milanista. Caminiti avrebbe fatto fuori uno dei luogotenenti di Francis Turatello, boss della mala meneghina: delitto mafioso al pari dei legami dell’uomo che avrebbe governato la pancia dello stadio, l’area in cui si posteggiano auto e moto e si intessono rapporti con la Milano che conta. Nella sintesi dei magistrati, Caminiti sarebbe vicino a esponenti di vertice della ’ndrina degli Staccu di San Luca.
Come la criminalità calabrese si sia mescolata con le frange criminali del tifo interista lo spiega un passaggio dei verbali di Andrea Beretta, capo ultrà pentito e assassino di Antonio Bellocco, il rampollo del clan di Rosarno che si era preso uno spazio nel mondo di mezzo che macina soldi su biglietti e merchandising.
La pm Sara Ombra chiede a Beretta come e quando abbia conosciuto Caminiti: «Allora, io in tempi passati lavoravo come sicurezza all’Hollywood - è la risposta. Diciamo dal 2002 al 2006/2007. L’ho conosciuto lì tramite un amico comune che faceva il guardarobiere».
Beretta e “Pino” avrebbero lavorato insieme, «nel senso che facevamo la sicurezza a un uomo israeliano che trattava diamanti, l'abbiamo portato in giro per l'Italia, l'abbiamo portato in giro anche all'estero, siamo andati in Turchia, abbiamo fatto dei lavori insieme ed è nata un’amicizia».
All’epoca, per quanto ricordi Beretta, Pino Caminiti era appena stato scarcerato, forse per questioni di droga, «e l'abbiamo tirato dentro in questo lavoro della sicurezza». Quando il capo ultrà oggi pentito si stacca dall’Hollywood, Caminiti - continua il suo racconto - «frequenta sempre locali con questi ragazzi qui dell'Hollywood, ex persone che avevano a che fare col mondo della notte e so che si avvicina al mondo dei parcheggi con Gherardo Zaccagni, che l'ha preso come tuttofare, come persona di fiducia».
Beretta non la mette proprio in questi termini, ma parla del parcheggio di San Siro come del nuovo Hollywood: un luogo in cui strati sociali della città teoricamente lontani entrano in contatto. Spiega, in sostanza, a cosa serve mantenere il controllo di quell’area: «Non è una questione tanto di... finanziaria, di guadagno, è una questione di pubbliche relazioni, diciamo è il parcheggio quello che va sotto, dove arrivano i pullman della squadra, lì c'è tutto un rapporto di conoscenza con delle persone di ceto diciamo... elevato, e puoi scambiare rapporti di lavoro, cose». Un altro mondo di mezzo, una sorta di ascensore sociale in cui Zaccagni si inserisce puntando forte su una gara che, dice sempre Beretta, sarebbe forse riuscito ad aggiudicarsi a un prezzo inferiore se solo si fosse rivolto all’allora capo della Curva Nord Vittorio Boiocchi o allo stesso Caminiti.
Di Caminiti, Beretta dice di non sapere poi tanto. Sa che «movimentavano tanto a livello di droga ai tempi». Dice di essere a conoscenza dei «problemi» che aveva avuto: sarebbe stato costretto a «scappare a Malindi, m'aveva raccontato che era scappato a Malindi perché forse aveva avuto dei problemi, lo stavano arrestando ed era scappato... aveva fatto, tipo... Si era trasferito a Malindi per tipo un anno, poi era tornato e l'avevano arrestato». Poco altro: «Non è che m'ha raccontato i dettagli della sua vita criminale, nel senso, anche perché poi parlavamo c'è il locale, andiamo a fare il lavoro per la sicurezza, queste cose qua».
Neppure sui presunti rapporti con la ’ndrangheta Beretta dice di essere tanto informato. Il capo ultrà pentito spiega di aver avuto rapporti di amicizia con gente di quell’ambiente «però mai averci a che fare a livello di lavoro».
Questo perché «essendo di Pioltello, mi era capitata una situazione anticipatamente, in gioventù, con Roberto Manno, che sono una famiglia forte, avevano aperto un centro scommesse a Cernusco sul Naviglio». In quel centro scommesse Beretta era antrato come socio («abbiamo messo i nostri nomi, addirittura») e poi «dopo una settimana sono arrivati con un camion della Celere, sono scesi con gli scudi e c'hanno fatto chiudere tutto. Da lì ho detto "Qua c'è qualcosa che non...", non si può lavorare in queste…». Le amicizie con soggetti vicini ai clan sì, «ma a livello di lavoro, facevo gli affari miei».