Da una parte parroco, dall’altra una comunità di neppure cento anime di fedeli. Al centro una danza e un balletto che diventa l’elemento di rottura tra la chiesa e il piccolo borgo di Gallicianò, a Condofuri. Non una danza qualsiasi ma la danza della statua di San Giovanni Battista nella processione prevista ogni anno il 29 agosto, rito impregnato di paganesimo per la diocesi, legato alla tradizione cristiana per gli abitanti della frazione che proprio non ci stanno e anzi sostengono che «in questo rito non c’è nulla di strano, ma solo la fede di un popolo che invoca la benedizione dall’alto».


A cercare di smorzare i toni era intervenuto anche il sindaco Tommaso Iaria che aveva auspicato «l’immediata ripresa del confronto e del dialogo, raccomandando a tutti i cittadini che le istituzioni devono essere rispettate, compresa la chiesa che ha il diritto di prendere le decisioni ritenute opportune. Auspico al contempo si faccia il possibile al fine di tenere in debita considerazione usanze e tradizioni che assumono una valenza ancor più accentuata quando ci sono di mezzo aspetti legati alla fede».

 

A replicare in una nota è la diocesi che precisa «che le decisioni del parroco, padre Giancarlo Graziola, di vietare il “ballo” del Santo e la raccolta delle offerte durante la processione sono in perfetta conformità con quanto previsto dagli Orientamenti pastorali per le Chiese di Calabria “Per una nuova evangelizzazione della Pietà Popolare” pubblicati dalla Conferenza episcopale calabra nel 2015, e dal Direttorio diocesano sulle feste patronali della Chiesa Reggina. Gli Orientamenti, al numero 24, dichiarano esplicitamente: «Né durante le processioni, né alla fine, è lecito sottoporre le statue (o i simulacri) allo spettacolo di danze o movimenti coreografici, anche se questi fossero di antica tradizione, né è lecito accompagnare le immagini con fuochi d’artificio, o con qualsiasi altra manifestazione chiassosa di folklore, che certamente non favoriscono il silenzio, il canto sacro ed il raccoglimento spirituale».

 

Pubblica anche la Lettera pastorale collettiva dell’episcopato calabrese per la Santa Quaresima del 1916, mettendo in evidenza come già allora i presuli della Regione davano indicazioni chiare in riferimento alle processioni» defindendole «scandalose e ridicole di fronte certe processioni che si protraggono per intiere mezze giornate, se non anche di più, e nelle quali, come se il santo fosse un burattino, lo si fa girare per tutti i vicoli e i viottoli del paese, facendolo sostare, qui davanti la casa del procuratore A o dell’offerente B. Ma un tale procedere, oltreché profano e ridicolo, è contrario affatto allo spirito della Chiesa, la quale non intende che le statue nelle processioni si fermino a richiesta dei privati, ma seguano recto tramite il loro itinerario, breve quanto possibile e determinato.
Un altro uso che noi Vescovi non possiamo approvare, che disapproviamo anzi formalmente è quello di attaccare denaro alle vesti del Santo o ad un nastro fissato appositamente. Tutto o quasi tutto il merito di tali offerte è perduto innanzi a Dio, poiché, nove volte su dieci, hanno per movente non la vera devozione, ma la vanità. E si chiedono grazie con tali disposizioni di animo? No, no, non le otterranno, perché la loro generosità è già stata premiata col plauso degli uomini, Receperunt mercedem suam (Hanno ricevuto la loro ricompensa)».