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Sebastiano Musarella, l’uomo ritenuto fra i più vicini al boss Giovanni De Stefano “il principe”, ha tentato per due volte il suicidio in carcere. Ora, si trova sorvegliato a vista dagli agenti della polizia penitenziaria della casa di reclusione di Frosinone, dove è rinchiuso, a seguito della condanna a dieci anni e otto mesi inflitta in primo grado per un’estorsione ai danni di un imprenditore di Reggio Calabria.
È una storia assai particolare quella di Musarella che – racconta chi lo ha incontrato in questi mesi – risulta essere molto provato dalla detenzione che perdura da circa un anno e mezzo.
L’arresto dopo l’estorsione. Musarella, infatti, nel novembre 2015 fu raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Secondo quanto ricostruito dagli uomini della Squadra mobile di Reggio Calabria, infatti, Musarella, assieme a Fortunato Caracciolo e Domenico Neri, si recò in un cantiere del centro cittadino per chiedere il pizzo ad un noto imprenditore reggino che stava effettuando lavori di ristrutturazione di un immobile. Sotto il cappello del terrore criminale che incute la cosca De Stefano, i tre dissero agli operai: «Qui non si lavora più». Ed ancora: «Il titolare deve sapere a chi rivolgersi». Insomma, veniva intimato di «mettersi in regola» e, alle persone presenti, di non andare più al cantiere qualora non si fosse proceduto al pagamento della “tassa ambientale”.
Solo che, differentemente da tante altre volte, l’omertà non ha vinto e l’imprenditore ha denunciato tutto alla Dda reggina che ha svolto le indagini assieme alla Polizia, arrivando all’identificazione dei tre, anche grazie alle riprese video. Poi, il processo e la condanna pesantissima in primo grado a dieci anni e otto mesi di reclusione.
Non è la prima volta che Musarella finisce in un’inchiesta della Dda. Già in passato con Eremo e Araba fenice il suo nome era comparso fra i soggetti molto vicini a Giovanni De Stefano “il principe”.
Le lettere d’affetto. Ed è proprio con lui che è avvenuto uno scambio fitto di lettere affettuose, che qualcuno ha interpretato come dimostrazioni di un sentimento fra i due. Più semplicemente, però, potrebbe trattarsi solo di un linguaggio in codice che Musarella e De Stefano utilizzavano per inviarsi messaggi relativi alle loro connessioni criminali.
Particolare fragilità. Poco importa quale sia la natura di quelle missive. Ciò che conta è che Musarella sia controllato in modo continuo e costante. L’ultimo tentativo di togliersi la vita, infatti, risale solo al 27 dicembre scorso, quando fu salvato all’ultimo istante dall’intervento dei poliziotti. Ovviamente nel penitenziario di Frosinone l’attenzione è massima, ma questi spiacevoli episodi obbligheranno i difensori a richiedere un provvedimento che lo allontani, almeno per il momento, dalla detenzione in carcere che, oggi sembra nascondere un rischio elevato per la sua incolumità.
Toccherà, però, ai giudici stabilire se le condizioni psicologiche di Musarella siano o meno compatibili con il regime carcerario. Nel frattempo, al di là di qualsiasi responsabilità penale, l’auspicio è che Sebastiano Musarella non commetta più atti del genere.
Consolato Minniti