VIDEO | La storia di Mirko, autista residente a Cetraro ma costretto a Milano per via dei decreti della presidente Santelli e del Governo centrale contro il coronavirus: «L'azienda per cui lavoro ha chiuso e sto finendo i soldi, sono disperato»
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Quella che stiamo per raccontarvi è una storia emblematica, paradigma di decine di vite sospese, l’altra faccia della medaglia delle restrizioni previste per contenere un fenomeno che sta piegando un’intera nazione.
Il coronavirus prosegue la propria espansione senza sosta, da Nord a Sud, in barba a decreti e controlli a tappeto. Provvedimenti necessari per bloccare l’avanzata delle legioni Covid-19, ma che determinano anche nuove emergenze. Come quella che stanno vivendo decine di lavoratori residenti in Calabria, ma attualmente in Lombardia per motivi di lavoro.
Dopo la decisione della governatrice Santelli di bloccare gli accessi nella Regione e l’ultimo decreto del Governo centrale con cui si vieta a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi in un comune diverso da quello in cui si trovano, moltissimi nostri corregionali sono infatti rimasti sospesi in un limbo: non possono tornare in Calabria per evidenti rischi sanitari, ma non sono neppure in grado di sostenersi restando in terra padana, per la grave crisi economica che sta già facendo sentire i propri effetti in ogni settore.
L’autista calabrese bloccato a Milano: «Siamo disperati»
Uno di loro è Mirko Spanò, autista di pullman residente a Cetraro, ma al momento a Milano per motivi di lavoro: «Siamo disperati – ci dice al telefono -, non sappiamo più come fare. L’azienda per cui lavoro, legata a Flixbus, ha sospeso l’attività e io adesso sono bloccato qui con trecento euro da pagare per un posto letto e chissà quanto ancora da spendere per il vitto. In più ho la famiglia in Calabria da mantenere: l’affitto della casa, una bambina, una moglie. Mi dica lei come dobbiamo fare».
La cassa integrazione
Tra i nodi da sciogliere anche un intervento statale di cui, al momento, non sembra esserci traccia: «Ancora non ci hanno dato nessuna cassa integrazione – spiega Mirko – e quando ce la daranno sarà sicuramente una miseria che non ci permetterà di restare in una delle zone più care d’Italia».
«Mi sarei messo in quarantena»
Da qui la necessità di dimezzare le spese e tornare a casa. Un’esigenza per cui Mirko aveva seguito quanto richiesto dalla legge: «Quattro giorni prima che uscisse l’ordinanza mi ero registrato sul sito della Regione, avevo chiamato il numero verde e avvisato il mio sindaco, Angelo Aita (primo cittadino di Cetraro ndr), il quale mi aveva detto che potevo rientrare. Arrivato a casa mi sarei messo in quarantena, come prevedono i protocolli, anche perché una denuncia mi avrebbe fatto perdere il lavoro. Stamattina, quindi, sarei dovuto partire da Milano, ma la polizia ferroviaria me lo ha impedito. A me come a decine di persone. Che facciamo adesso?».
L’appello alla presidente Santelli
Già, che fare? Mirko sta vivendo una situazione complessa per la quale, al momento, non sembrano esserci soluzioni percorribili. Giovane padre di famiglia, si aggrappa a un flebile filo di speranza rappresentato dalla nostra testata: «Qui, se non moriremo per il coronavirus, moriremo di fame. Per questo chiedo alla presidente Santelli di farci rientrare in Calabria con tutte le misure del caso, facendo quarantena e quant’altro. Oppure si faccia carico lei del nostro sostentamento, perché non ci restano più di dieci giorni di vita, dopo moriremo in mezzo a una strada, per una cosa o per l’altra».