La Corte di Cassazione si è espressa sull’omicidio di Cataldo Aloisio, membro della cosca Farao-Marincola giustiziato nel 2008 in Lombardia. Prezioso il contributo del cognato, il pentito Francesco Farao: «Cercai di oppormi all’agguato ma Marincola disse “ce la vediamo noi”»
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Diventa definitivo l’ergastolo nei confronti di tre pezzi da novanta della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina. La prima sezione delle Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati da Cataldo Marincola, Silvio Farao (capi storici dell’omonima cosca) e Vincenzo Rispoli (boss di Legnano e Lonate Pozzolo, cellula al Nord del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò) per i quali il fine pena mai, riguardo all’omicidio di Cataldo Aloisio, diventa definitivo.
È stata invece annullata con rinvio la sentenza nei confronti di Francesco Cicino e Vincenzo Farao per i quali si aprirà un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello di Milano.
Quando la famiglia uccide la famiglia
L’omicidio di Cataldo Aloisio matura all’interno della stessa famiglia della vittima. Il cadavere di Aloisio è stato ritrovato in un campo, nel Comune di San Giorgio su Legnano, al mattino presto del 27 settembre 2008 da un imprenditore edile che doveva costruire uno stabile e aveva intenzione di prelevare della sabbia da quel terreno. Il caso è stato seguito dalla Dda di Milano col supporto prezioso, in termini di indagini, della Distrettuale di Catanzaro.
Secondo le ricostruzioni accusatorie, infatti, l’omicidio di Cataldo Aloisio è maturato in Calabria. Da qui è partito l’ordine, giunto poi a compimento in Lombardia.
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Gli intrecci familiari
Gli intrecci familiari - intesi sia in termini di cerchia parentale che di appartenenza alla cosca - che hanno stritolato la vittima sono strettissimi.
Cataldo Aloisio era genero del boss Giuseppe Farao, classe 1947, capo locale della consorteria cirotana, che da molto tempo si trova in carcere ed è stato a lungo sostituito nella reggenza dal fratello minore Silvio Farao, affiancato da Cataldo Marincola.
Anche il capo cosca di Legnano e Lonate Pozzolo, Vincenzo Rispoli, è imparentato con i Farao perché ha sposato la sorella di Giuseppe e Silvio Farao. Un altro imputato, Vincenzo Farao, è figlio di Giuseppe Farao, di conseguenza è cognato della vittima e cugino di Vincenzo Rispoli.
In questa pigna chiusa si è aperto uno spiraglio nel momento in cui Francesco Farao, figlio del boss Giuseppe Farao, fratello di Vincenzo Farao e anche lui cognato della vittima, ha deciso di collaborare con la giustizia nel 2018, in seguito al suo arresto nell’operazione Stige.
Preziosissimo il suo contributo: nell’interrogatorio del 17 gennaio 2018 indica i responsabili della morte del cognato: suo zio Silvio Farao, Cataldo Marincola, reggente assieme allo zio Silvio del Locale di Cirà (in ragione della detenzione di suo padre Giuseppe), suo fratello Vincenzo Farao e suo cugino Vincenzo Rispoli.
Ucciso perché voleva vendicare lo zio “Cenzo”
Il collaboratore racconta che il cognato era stato ucciso non solo a causa del su carattere fumantino e provocatorio ma anche perché avrebbe voluto vendicare un altro omicidio maturato sempre all’interno della cosca di Cirò: quello di Vincenzo “Cenzo” Pirillo, collocato, pro tempore, ai vertici del locale in “precaria” assenza dei capi – Silvio Farao e Cataldo Marincola – latitanti per sottrarsi a una condanna per omicidio.
Pirillo era, pure lui, imparentato con Aloisio: era lo zio. Pirillo sarebbe stato ucciso a causa della sua gestione personale della cassa comune della consorteria. I propositi di vendetta di Cataldo Aloisio si sono scontrati col pollice verso di Cataldo Marincola, Silvio Farao e Vincenzo Rispoli. Inutili i tentativi di opporsi di Francesco Farao, il quale ricordava che Aloisio aveva figli piccoli. Maricola fu irremovibile: «Ce la vediamo noi».