Imprenditori, professionisti, un notaio (meglio, «il notaio nostro»), un revisore contabile, operatori del credito e della finanza ed esponenti della pubblica amministrazione. È il «capitale sociale» di cui le organizzazioni criminali si servono per aprire le porte giuste. Tutti, – per i magistrati antimafia di Milano che indagano sul gruppo legato a Giovanni Morabito, figlio del boss “Tiradritto” – avrebbero messo «le proprie specifiche competenze e i propri contatti a disposizione dell’associazione, agevolandone in tal modo l’espansione e la penetrazione nel tessuto economico-sociale». Tra i colletti bianchi entrati in contatto con il gruppo Morabito ce n’è uno che con il figlio dello storico mammasantissima di Africo ha un rapporto antico. Si tratta di un funzionario del ministero dei Trasporti: non è indagato nell’inchiesta della Dda di Milano che ha portato nelle scorse settimane a 14 arresti. Le indagini ne avrebbero evidenziato gli «stretti (e risalenti) rapporti» con Giovanni Morabito. “Ciccio”, usiamo il nome con cui lo identificano gli indagati, ha un curriculum professionale di tutto rispetto che viene riassunto dagli investigatori: commercialista, revisore dei conti, tra il 2007 e il 2008 è stato Commissario straordinario del governo per il coordinamento dello sviluppo per l’area di Gioia Tauro. Per lui anche un passaggio come componente della segreteria di un sottosegretario di Stato. Dal maggio 2010, è funzionario amministrativo contabile in servizio nella divisione Bilancio e contabilità generale della Direzione generale del Personale e degli Affari generali del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.

Il funzionario del Mit che «fa parte di Giovanni»

Nel marzo 2021 il funzionario arriva assieme a Morabito negli uffici di via Vittor Pisani considerati la base logistica del gruppo nel capoluogo lombardo. Lo scopo della sua presenza, nelle intenzioni di Morabito e soci – così riassumono i magistrati antimafia – sarebbe quello di trarre vantaggio dalla «competenza» e dalle «conoscenze professionali» del tecnico perché mettesse al servizio del gruppo «il know how maturato nel cosiddetto Ecobonus o Bonus 110%». Per gli inquirenti tra Morabito e l'uomo c’è un «rapporto di lunga data, verosimilmente risalente all’epoca degli studi universitari, da entrambi seguiti all’Università di Messina». Per Massimiliano D’Antuono, considerato il braccio destro di Morabito, il funzionario «fa parte di Giovanni». D’Antuono ne riassume il ruolo in una telefonata con Mauro Russo, uomo condannato in via definitiva perché considerato «intraneo al clan camorristico Belforte di Casoria». La conversazione è piena di elogi per Morabito («come Giovanni ce ne sono pochi…»), con una frase che D’Antuono attribuisce al tecnico del ministero (che gli avrebbe detto di conoscere il medico «dall’87… ed è voluto così bene da tutti… ha una signorilità, scherza, educato, non sbaglia mai una parola e non si fa mai vedere o sentire chi è»).

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L’inchiesta “Panta Rei”, la prescrizione e i rapporti con il clan Morabito

Segue una lunga digressione sui rapporti tra l’uomo e la criminalità organizzata calabrese. Legami che emergono da un processo finito con la prescrizione. I magistrati antimafia lo considerano un personaggio che, «sin dagli anni 80», sarebbe stato «strettamente legato ad esponenti della criminalità organizzata calabrese e, in particolare, della famiglia di 'ndrangheta dei Morabito, tra cui l’odierno indagato Giovanni Morabito, il padre Giuseppe (inteso “Tiradritto”), il genero di questi Giuseppe Pansera (entrambi condannati definitivamente per associazione mafiosa) e Annunziato Zavettieri (figlio del defunto Sebastiano e, quindi, fratello di Olimpia, moglie di Giovanni Morabito), ritenuto il capo dell’omonima famiglia e attualmente detenuto in regime di 41 bis». L’inchiesta della Dda di Messina “Panta Rei” avrà un esito processuale favorevole al funzionario: dopo le condanne rimediate nei primi due gradi di giudizio, la Cassazione annullerà la sentenza d’Appello, e riqualificherà l’imputazione. Da associazione per delinquere di stampo mafioso ad associazione a delinquere semplice: un passaggio che indurrà i giudici a disporre il “non doversi procedere” per intervenuta prescrizione. Nonostante la conclusione favorevole per il tecnico, la Dda di Milano sottolinea un passaggio della sentenza di primo grado in cui si evidenzia che «i rapporti di con i coimputati sono pure attestati dalle medesime dichiarazioni dei docenti universitari che hanno rimarcato che tutte le persone indicate solevano stazionare insieme nei locali della facoltà, formando un gruppo. Pur in mancanza di accertamenti diretti su utenze nella sua disponibilità, risultano contatti telefonici (…). Il suo numero di telefono è stato rinvenuto nell’agenda dell’imputato Zavettieri Annunziato». Per i magistrati antimafia la «stretta correlazione ad ambienti criminali di origine calabrese» emersa dall’inchiesta “Panta Rei” spiegherebbe, «pur a distanza di oltre vent’anni, lo stretto rapporto che ancora oggi» lo lega a Giovanni Morabito.
I due si incontrano in un bar il 13 marzo 2021 per discutere dell’intenzione del “gruppo Morabito” di entrare tra i beneficiari del Bonus 110%. Mentre il funzionario spiega i possibili vantaggi della misura, il figlio del “Tiradritto” racconta di avere «amici abituati a tutti i possibili imbrogli» e fa esplicito riferimento «alla disponibilità di una società “quotata alla Borsa Americana con cui possono fare tante cose, tipo la Onlus dentro le Nazioni Unite”, chiaramente alludendo alla Human Unitec International Inc.».

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«Voi siete di Casal di Principe, parliamo la stessa lingua»

Un paio di giorni dopo, l’amico di lunga data arriva in via Vittor Pisani per incontrare anche gli indagati D’Antuono e Giuseppe Siclari, sempre alla presenza di Morabito, e tiene una sorta di lectio magistralis sull’Ecobonus. Secondo la sintesi degli inquirenti, il tecnico dice «di gestire direttamente alcuni consorzi a Benevento, Napoli e Reggio Calabria proprio per l’esecuzione dei lavori sul 110%» e illustrerebbe a D’Antuono e Siclari «il meccanismo dei bonus e come avrebbero potuto organizzarsi per prendere i lavori insieme, dividendosi poi le percentuali legate sia alla mediazione, sia alla cessione del credito d’imposta conseguente all’esecuzione degli stessi». Lo scopo del gruppo è coinvolgere nell’affare due imprenditori napoletani operativi a Modena. È lui a spiegare quale sia il sistema più conveniente per accedere alle sovvenzioni. «Dobbiamo andare a innestarci su strutture esistenti e potenziarle – dice –. Cioè, a noi non conviene creare completamente da zero (…) però costruttori vicini ne abbiamo tanti, quindi bei costruttori che abbiamo vicini li mettiamo insieme e li facciamo lavorare, solo questo». Quei costruttori, aggiunge D’Antuono, «dovranno essere “messi sotto” di loro» e, «specie “se arrivano dalla Calabria”, non devono avere problemi, per evitare il rischio di compromettere tutto il sistema». Quando gli imprenditori campani finalmente incontrano il tecnico capace di aprire loro le porte dei finanziamenti, interviene uno scambio di battute che i magistrati evidenziano in grassetto. Il funzionario chiede «Di dove siete voi?». Risposta: «Casal di Principe». La chiosa dice tutto: «Casal di Principe, parliamo la stessa lingua». E l’imprenditore continua: «Ci capimm, vui sit da…». Poi il gruppo concorda sulla necessità di avere «la disponibilità di “ditte serie, consistenti e con nessun collegamento…”, ovviamente con la criminalità organizzata». Servono facce pulite per realizzare quella che la Dda di Milano considera «una vera e propria operazione di infiltrazione nell’economia legale, sia attraverso l’affidamento dei lavori di cui al Bonus 110% a imprenditori “amici”, sia attraverso la vendita di prodotti e componenti necessari per dare il via ai cantieri. Una filiera completa: dall’idea alla richiesta dei benefici, fino alla posa in opera degli impianti elettrici e dei pannelli fotovoltaici. Econobonus in “famiglia”, con in testa il cognome pesante del “Tiradritto”.