Vaglielo a spiegare a un bambino che qualcuno nell’ombra minaccia la sua famiglia. Vaglielo a spiegare che la ‘ndrangheta vuole rubare il sogno dei suoi genitori. Eppure Giuseppe Trimboli lo ha dovuto dire al suo figlio maggiore.
Undici anni compiuti proprio ieri, nel giorno in cui la notizia delle lettere minatorie ed estorsive inviate a suo padre - chef stellato che gestisce un piccolo ristorante nella Locride - è diventata di dominio pubblico.
Giuseppe ha dovuto trovare le parole giuste per spiegare al figlio che la mafia minaccia di rubare i sacrifici di una vita, ma che lo Stato è più forte. Che papà non ha paura e che proteggerà la sua famiglia perché non è solo. Accanto a lui c’è infatti il gruppo Goel. Ci sono le istituzioni (Prefettura, Procura e forze di polizia) che si sono riunite ieri pomeriggio a Locri per lanciare un messaggio forte: quest’uomo è uno di quelli che ha dimostrato che anche in Calabria farcela è possibile.
Quarantatrè anni, quattro figli (il più piccolo di due anni) ed una moglie bellissima che lo affianca nel suo lavoro. È un uomo che ce l’ha fatta, un imprenditore che s’è fatto da solo e che della ‘ndrangheta non ha paura.
«Se non paghi 50mila euro sei morto. Ti brucio il ristorante. Ti brucio i figli. Brucio tutti i tuoi». Questi i messaggi di chiara matrice mafiosa ed estorsiva destinati a Giuseppe ed ai suoi cari.
Dal 2007 Giuseppe è un socio Goel Bio, il gruppo cooperativo che nella Locride si oppone al pizzo e alla protervia della ‘ndrangheta. È chef e proprietario del ristorante “La Collinetta” che sorge a Martone, piccolo centro da 600 abitanti. Una cucina tradizionale che ha conquistato diversi riconoscimenti, l’ultimo in ordine di tempo è l’ambito premio “Chiocciola Osteria d’Italia”.


Nelle vene di Giuseppe Trimboli scorre dignità e coraggio. Ha combattuto da sempre, da quando giovanissimo fu colpito da una gravissima patologia a causa della quale si era rassegnato a perdere la vista. Lottò contro la malattia, che lo costrinse a lasciare gli studi, e vinse. Da manovale a lavapiatti, ha sempre sgobbato. Ha vissuto per un periodo a New York, poi è tornato in Calabria affiancando la madre nella conduzione del ristorante che aveva avviato. Ha scoperto così l’amore per la cucina. E qui, nel suo ristornate, prima di mettersi davanti ai fornelli, ci racconta quello che è accaduto: «La prima lettera il 12 dicembre, poi ne sono seguite altre tre. Mi ha turbato il messaggio, ma subito ho richiuso la busta e sono andato a denunciare alle forze dell’ordine. Così come ho fatto la seconda, la terza e la quarta volta».

Giuseppe Trimboli non s’è mai piegato, né davanti alle avversità, né davanti alla mafia. E non lo farà neppure stavolta: «Anni di sudore e sacrifici che nessuno può permettersi di spazzar via. Vado avanti, certo, continuo a fare tutto quello che ho sempre fatto. Continuerò a mandare avanti la mia famiglia e la mia attività. Continuerò a vivere onestamente e continuerò a denunciare chi tenta di oltraggiare la mia vita e la mia terra».