Inseguono il virus nelle case, ogni unità dovrebbe essere composta da un medico ed un infermiere, ma anche oggi Matteo Vocaturo, medico dell’Usca in servizio da ottobre, viaggia da solo. Una laurea in medicina e il sogno di specializzarsi all’estero: «Avevo già in programma di continuare la formazione in Danimarca, poi la pandemia ha bloccato tutto. Alla fine ho deciso di lavorare a supporto dell’Usca perché ce n’era bisogno, credo sia stata la scelta più giusta. Ma non appena finisce tutto, partirò».

L’assistenza per i malati covid partita in ritardo

Dovevano essere avviate da subito, di fatto le Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziali) per mesi sono state impiegate solo per il tracciamento ed i tamponi domiciliari. Finalmente due settimane fa sono stati reclutati 48 medici per incrementare l’assistenza domiciliare di pazienti positivi. È il modo più efficace per evitare di intasare il pronto soccorso: curare i pazienti  a casa prima che si aggravino o dopo che sono stati dimessi, ma che risultano ancora positivi. Ad oggi ci lavorano tre squadre, ma i casi sono in aumento e si arranca. L’ultimo bollettino parla di circa 4000 casi a domicilio nella provincia di Cosenza, 375 con sintomi più o meno consistenti. I medici dell’Usca fanno quel che possono.

«Nell'ultimo mese il carico di lavoro è sicuramente aumentato e forse è un po' scesa l'età media, anche se sicuramente andiamo sia da giovani che da anziani» - ci dice Matteo Vocaturo che oggi ha in programma 5 visite domiciliari nell’area urbana di Cosenza ed in presila. «Siamo riusciti a smaltire in questi giorni un po’ di richieste di intervento, ma già domani ho 15 appuntamenti».

I Covid hotel

Sul pianerottolo o davanti all'ingresso della abitazioni, ci sono tutte le necessarie procedure di vestizione, svestizione e sanificazione di personale sanitario e attrezzature che richiedono del tempo e che vanno soprattutto compiute con la massima attenzione per evitare ulteriori rischi di contagio.

Entriamo in casa di una coppia di Cosenza, marito e moglie combattono con il virus da ottobre. La signora, con problemi di cuore, è stata da poco dimessa dall’ospedale, ma è ancora positiva. E lei - ci dice - se l’è vista brutta. «Sono stata prima in terapia intensiva, poi mi hanno trasferita nel reparto covid di geriatria. Mi hanno detto che sono stata miracolata. La cosa che ora più desidero è negativizzarmi per poter riabbracciare i miei nipotini» - ci dice mentre i suoi occhi diventano lucidi dalla commozione. Il marito, invece, è negativo da qualche settimana. Ma in Calabria non sono ancora entrati a regime i covid hotel (la Regione ne ha invididuati 14 nelle scorse ore) e quindi convive con la paura di riprendersi il virus. Il medico Usca cerca di tranquillizzarlo, ma lui lo blocca: «È da ottobre che viviamo in queste condizioni, siamo distrutti psicologicamente – la voce è strozzata in gola  – non vediamo i nostri nipotini da settembre». 

Il contatto con il medico è importante

Non si tratta di visite che si riescono a portare a termine proprio in due minuti.  La terapia da fare, una visita per vedere che sia tutto a posto, una risposta alle tante domande. Il contatto con il medico in questa fase è più che mai importante, così i pazienti non si sentono lasciati soli. Perché dopo settimane di isolamento, senza vedere il resto della famiglia, anche una parola di conforto può aiutare.