Gennaro Felicetta («il nipote di Gianni "U boss"») è ritenuto il reggente del clan Bruno. Il brutale pestaggio al cimitero di Amarani nelle carte dell'inchiesta che ha portato a 22 arresti: «Qui non deve mancare uno spillo». L'episodio costato l'accusa di sequestro di persona
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Il rumore del pestaggio si sente da lontano attraverso lo smartphone su cui è attiva una intercettazione telematica. Così come si avvertono distintamente le urla di dolore e qualcuno che implora: «Non so niente, veramente». La scena è ambientata nel cimitero di Amaroni ma non è una pellicola cinematografica bensì la ripresa dal vivo del capillare controllo sul territorio, assicurato anche attraverso la brutale violenza.
La buonanima
In questo caso, non si tratta di incendi o danneggiamenti ad attività commerciali a scopo estorsivo ma di un episodio ben più banale: la scomparsa di una vespa rossa ad Amaroni, «era della buonanima di mio zio Gianni». Al secolo Giovanni Bruno, insieme a Giuseppe e Francesco, secondo gli inquirenti, storici capi-cosca nell'omonimo clan radicato a Vallefiorita.
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Il rampollo
A raccogliere l'eredità criminale il nipote Gennaro Felicetta, 32 anni compiuti ieri, già in carcere per altri reati e oggi nuovamente arrestato nell'ambito dell'operazione Scolacium, coordinata dalla Dda di Catanzaro e messa a segno dal nucleo operativo dei carabinieri. «Gennaro, il nipote di Gianni "U boss"» così rimarca la sua appartenenza al clan durante la spedizione punitiva, costatagli oggi anche un'accusa di sequestro di persona e tentata estorsione mafiosa.
Ad Amaroni non deve mancare uno spillo
«Qua ad Amaroni non deve mancare nemmeno uno spillo» precisa dopo aver prelevato l'inconsapevole vittima dal bar del paese, caricato in macchina e condotto al cimitero. «Da ora in poi ti faccio capire chi è Gennaro, la moto deve uscire fuori altrimenti entro una settimana mi devi portare 10mila euro, altrimenti mi metto una corda e vi affogo a tutti che quella era la moto della buonanima di mio zio Gianni» minaccia malmenando il malcapitato e chiedendogli conto della sparizione della vespa rossa.
Cosa ti serve andare a rubare?
La vittima giura di non saperne nulla: «Si sente lamentarsi dal dolore per la violenza fisica che subisce», annotano gli investigatori che nel frattempo intercettano l'episodio. E Felicetta che tenta di convincerlo: «Tu sei uno che ti ammazzi di lavoro, sei un gran lavoratore. Che cosa ti serve andare a rubare una moto o quello che è?», domanda retorico. «Vieni da noi, "Gennaro, me li dai cento euro e te li do"», conclude il ragionamento.
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Ti faccio volare la testa
Infine, la chiusa: «Ora se tu fai l'infame e vai dai carabinieri e denunci, che io la testa te la faccio volare a te, tuo padre e a tua madre». E l'interlocutore assicura: «Io non vado da nessuna parte, io ho la coscienza pulita» mantenendo poi fede all'impegno. Davanti ai carabinieri che il giorno successivo lo raggiungono a casa non proferisce parola: «Evidentemente per il timore generato dall'accaduto e per la specifica intimidazione a non denunciare i fatti» si legge nelle carte dell'inchiesta ma del pestaggio sono rimasti i segni sul volto «gonfio» e alle gambe «leggere abrasioni».