«Io non ho paura per me, ho solo paura che il mio messaggio non venga a fondo capito. Ho più paura di come vengono riportate le notizie che dei mafiosi». A parlare così è Giosuè D’Agostino. Oggi ha quasi 50 anni, ma la sua storia inizia quando era poco più che un adolescente. Nato e vissuto tra Palmi e Gioia Tauro, Giosuè cresce in una famiglia mafiosa. «Non sono il figlio di un boss- ci tiene a precisare dopo la pubblicazione di alcuni articoli- non bisogna sempre etichettare. Sono cresciuto in una famiglia mafiosa è vero, ma da cui mi sono dissociato». Aveva solo 17 anni quando una sera bussano alla sua porta le forze dell’ordine e lo spediscono in galera per dieci mesi con le pesanti accuse di tentato omicidio e rapina. Giosuè non ha commesso questi reati, ma il contesto in cui erano maturati non gli permise di indicare i responsabili e questo errore l’ha pagato caro. Il suo destino sembrava essere già segnato poiché la ‘ndrangheta la respirava fin da quando era bambino. Un destino che grazie a quell’arresto è, però cambiato e oggi Giosuè va nelle scuole per portare la propria testimonianza.

 

Stamani è intervenuto all’istituto “Panella” dove ai ragazzi ha raccontato chi era prima e chi è riuscito a diventare. «Il carcere mi ha salvato- dice subito- se non fossi stato arrestato probabilmente non avrei mai cambiato vita». Ma non è stato per nulla un percorso facile. In quegli anni operava un sacerdote simbolo della “resistenza”, ossia Don Italo Calabrò che aveva fondato l’associazione “Agape”, impegnata ad aiutare i ragazzi calabresi a rischio coinvolgimento nella criminalità organizzata.

 

Grazie all’inserimento in questa realtà Giosuè riesce a formarsi professionalmente e deciderà di tranciare qualsiasi legame con quei contesti malavitosi e si allontanerà dalla sua famiglia. «Ho lottato contro di loro- dice agli studenti- la mia famiglia era l’ostacolo da superare perché non comprendevano che io fossi diverso e che volessi vivere in un altro modo». Giosuè non voleva più delinquere e non voleva più trovarsi dalla parte sbagliata.  «Oggi siamo in buoni rapporti- dice alla nostra testata- ma io ho fatto una scelta e ho deciso di vivere nella legalità. Ognuno decide di vivere come meglio crede, io ho fatto la mia scelta di cui non mi pento».

 

Quando tornò a casa le parole della madre furono pesanti come dei macigni: “Figlio, o stai con noi o stai cu u previti”. Giosuè capisce che se fosse rimasto le porte del carcere si sarebbero aperte nuovamente e decide di andare via.  Dopo un primo periodo nel milanese, D’Agostino si trasferisce in Piemonte e ad Alba fonda un’azienda agricola. Il legame con la sua terra, non l’ha però interrotto, l’ha semplicemente “cambiato”  e oggi ha abbracciato il progetto del tribunale per i minorenni reggino,  “Liberi di scegliere”, promosso dal presidente Roberto Di Bella, e oltre che nelle scuole anche carcere porterà la sua testimonianza. «Non si tratta di "togliere" i figli ai mafiosi-spiega- si tratta di salvarli e di aiutarli con percorsi istituzionali volti al lavoro e all’istruzione. Anche agli ‘ndranghetisti posso dire che “si può fare”,  le loro coscienze oggi sono molto cambiate e qualcuno di loro ha anche voglia che avvenga questo cambiamento». Agli studenti Giosuè offre una grande lezione di vita. A loro racconta dei “soldi facili” che la criminalità promette e fa ottenere in poco tempo «ma dura poco, afferma, io in carcere di boss ricchi ne ho visti veramente pochi. Si perde tutto. Non hai niente. Hai solo un paio d’ore d’aria e per il resto sei lì nella tua cella a pensare. Non hai una fidanzata, non hai una moglie, sei solo. Prima di essere arrestato- continua- mi sentivo un leone, ma poi mi sono accorto che non avevo più nulla, non avevo quanto di più prezioso ossia la libertà». Giosuè ce l’ha fatta; è riuscito persino a travolgere in questo sua nuova vita sia la madre che la sorella, ma continua a “saldare” il suo debito con la società andando tra i ragazzi e raccontando semplicemente la sua storia e credendo nel progetto del Tribunale per i minorenni. «Questo progetto serve- ha dichiarato- quando allontani un ragazzo da un famiglia devi, però dargli un’altra famiglia e ciò ha dei costi e servono le risorse per reinserirli e dargli un futuro. Lo Stato li deve rendere autonomi  attraverso i fatti, con una legge che dia sostegno a questi progetti solo così puoi raccogliere i frutti».