«Messina Denaro? È buono, fa sempre cose buone ma i siciliani… i siciliani hanno “a vucca”, specialmente i palermitani e i catanesi. Per fare un calabrese ce ne vogliono 10 di siciliani».

Sono tagliati con l’accetta i giudizi che Pasquale Gallone, storico braccio destro del mammasantissima Luigi Mancuso, dispensa a un suo sodale raccontandogli gli equilibri geopolitici del crimine organizzato tra le due sponde dello Stretto.

Nell'intercettazione, andata in onda ieri sera nel format Mammasantissima, discutono di alcuni dei capi storici delle mafie, commentando il comportamento tenuto da alcuni di loro e sottolineandone le differenze. E se la stima e il rispetto per il proprio capo resta un fattore indispensabile «Sai chi mi ha detto Orazio De Stefano, il fratello della buonanima di Paolo? Che lui – racconta ancora Gallone riferendosi a Luigi Mancuso – per il carisma che ha, è il numero uno della ‘ndrangheta», le valutazioni sulle interfacce siciliane del crimine organizzato lasciano spiazzati.

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A cominciare da Totò Riina e Bernardo Provenzano, bollati senza troppi riguardi, come responsabili dell’adozione del carcere duro per i mafiosi. «Ma che era cosa uccidere quei giudici? Riina e Provenzano ficiru abusi, abusi chi mancu i cani. Hanno fatto abusi, altrimenti il 41 non c’era. Dicevano: abbiamo amici al Senato, e perché non li nomini ora a questi amici del Senato?».

Per i due interlocutori intercettati dalle forze dell’ordine, le azioni dei corleonesi hanno provocato danni enormi al sistema mafioso. Una convinzione che li porta a riabilitare persino la figura di Tommaso Buscetta, il collaboratore di giustizia che, per primo, raccontò ai magistrati le dinamiche interne a Cosa Nostra. «Buscetta era bonu. Quei cornuti di Riina e Provenzano gli hanno ammazzato il figlio, ma a Buscetta non gli portavano le scarpe».

Ma i “siciliani” non sono tutti uguali. Se, a giudizio dei due malacarne intercettati, per fare «un calabrese quattro siciliani non bastano, ce ne voglio 10», alcuni siciliani si meritano invece stima e rispetto. «Messina Denaro è uno buono – dice ancora Gallone – è uguale a come era suo padre che è stato latitante 30 anni e quando è morto lo hanno messo in una bara e glielo hanno portato a casa ai familiari. Il figlio è come il padre, fa sempre del bene, si comporta da signore. Per questo lo ascoltano tutti».