C’è un aggettivo che nessuno o quasi si sognerebbe di accostare a Silvio Berlusconi. Neppure adesso che, dopo la sua morte, se ne sta ripercorrendo la storia nelle diverse declinazioni. Perché in cinquant’anni trascorsi tra imprenditoria, televisione e politica, l’ex Cavaliere è sempre apparso spavaldo, a tratti baldanzoso, quando non addirittura temerario. Di certo, non ha mai fatto mistero di saper gestire e controllare la sua immagine pubblica, soprattutto davanti alle telecamere. Ecco perché c’è un aggettivo che, accostato a lui, appare quasi un ossimoro: fragile.

Eppure, a dispetto di un’esistenza vissuta sempre sotto i riflettori, c’è un momento nel quale l’ex Cavaliere appare tirato, teso, preoccupato. Fragile, appunto.
Il calendario segna la data del 26 marzo 2018. L’aula bunker di Reggio Calabria è gremita. Si sta celebrando una delle tantissime udienze a carico, tra gli altri, dell’ex ministero dell’Interno, Claudio Scajola. È il noto processo Breakfast, nel quale Scajola è chiamato a difendersi dall’accusa di aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena. È il partito fondato da Berlusconi il fulcro di quel rapporto trilaterale: il presidente, il ministro, il parlamentare. Tutti sotto le insegne di Forza Italia.

Silvio Berlusconi viene chiamato sul banco dei testimoni. Deve riferire dei suoi rapporti con Matacena, Scajola e l’ex politico libanese Gemayel. Quella mattina lo spiegamento delle forze dell’ordine è più corposo del solito. Occorre garantire la massima sicurezza per l’arrivo dell’ex presidente del Consiglio dei Ministri.

Che la giornata sia delicata per Berlusconi lo si intuisce dall’arrivo, di buon mattino, del suo avvocato di fiducia, Niccolò Ghedini. Berlusconi non è quello che tecnicamente si definirebbe un “teste assistito”. Non ha necessità della presenza del suo legale, poiché non è indagato né in Breakfast né in altri procedimenti potenzialmente connessi con quello che si celebra in riva allo Stretto. Nonostante ciò, Ghedini – anch’egli strappato prematuramente alla vita da una grave malattia – avverte l’esigenza di presenziare e "vegliare" sul suo cliente più importante.

Quando il presidente del collegio, Natina Pratticò, invita Berlusconi ad entrare, nell’aula B1 di Viale Calabria cala il silenzio. I passi della scorta sono seguiti dal rumore dei flash di un nugolo di fotografi. Berlusconi si affaccia, osserva e chiede indicazioni su dove debba recarsi. L’aula gli appare improvvisamente più grande di quanto effettivamente non sia. Il passo è sì deciso, ma non sicuro come lo si è abituati a vedere. Il presidente smorza la tensione con un sorriso tirato, quasi sforzato. Il giudice lo invita a declinare le generalità, com’è prassi nel corso delle testimonianze. Lui deglutisce, quasi a voler inghiottire una bella dose di tensione, e si presenta: Berlusconi Silvio, nato a Milano il 29 settembre 1936.

Poi dà lettura della formula d’impegno a dire la verità. Ed è lì, subito dopo quel solenne momento nel quale il testimone s’impegna a non mentire, che il presidente gli rivolge la domanda che svela tutta la tensione e la fragilità di quel giorno: «Dà il consenso ad essere ripreso durante la sua testimonianza?». Berlusconi stringe il microfono tra le mani, guarda un momento verso il basso e poi risponde sicuro: «No, preferisco di no».

L’aula B1 è smarrita: com’è possibile che l’uomo più citato d’Italia, proprietario di televisioni ed il cui nome è ogni giorno sui giornali, non voglia farsi riprendere in una normale deposizione in qualità di testimone? I dubbi sono dissipati ben presto dall’incalzare della testimonianza. Berlusconi risponde alle domande degli avvocati difensori e poi anche dal procuratore Lombardo. Ma, nella testa di chi ama osservare i particolari, rimane indelebile l’immagine di quell’uomo ripiegato in una malcelata contraddizione che appare d’improvviso in tutta la sua ineluttabilità.

Silvio Berlusconi a Reggio Calabria ci arriva malvolentieri. La testimonianza è di quelle che potrebbero nascondere non poche insidie. La vicenda Scajola, che s’intreccia a doppia mandata con la storia di Amedeo Matacena dentro Forza Italia, non lo lascia sereno. Berlusconi sa che il terreno è scivoloso anche per i riferimenti alla storia del suo amico di sempre Marcello Dell’Utri. E poi, dall’altra parte dell’aula, si trova davanti un pubblico ministero che conosce bene: Giuseppe Lombardo. Lo stesso che indaga sulle stragi di mafia in Calabria. E Berlusconi sa che, al di là delle accuse e delle responsabilità che rimbalzano di tanto in tanto sul suo conto, il procuratore reggino è uno di quelli che certe storie le conosce a menadito. E probabilmente, quella mattina, l’ex presidente del Consiglio non ha alcuna voglia di rispondere alle domande.

Berlusconi, del resto, è effettivamente uno stratega della comunicazione. Ma dentro l’aula di un Tribunale le strategie servono a poco. Bisogna rispettare le regole del codice di procedura penale e il testimone è tutto fuorché libero di dire ciò che vuole. Deve rispondere alle domande e dire la verità.

Quel giorno di fine marzo di cinque anni fa, Berlusconi è inquieto: i suoi piedi sbattono nervosamente l’uno sull’altro. È il segno di una voglia evidente che tutto finisca al più presto. Non sopporta di farsi riprendere dalle telecamere, forse perché sa che, seduto a quel tavolo, i suoi occhi potrebbero tradire emozioni che non bisogna mostrare fuori da una ristretta cerchia. È fragile, l’ex Cavaliere. Chi sta in quell’aula ha la sensazione che si senta come “nudo” rispetto alla sicumera con la quale ha da sempre affrontato persino i suoi processi. Anche il tono di voce è basso. Composto. Certamente rispettoso del contesto nel quale si trova. Afferma di aver avuto dei problemi di pressione a causa del volo e, per questo, non in grado di sentire bene come di consueto. Gli avvocati alzano la voce per farsi comprendere meglio.

Le sue dichiarazioni dicono poco nulla in termini di utilità probatoria: afferma, come aveva fatto anni prima, di non ricordare neppure chi sia Amedeo Matacena; che questi non fu mai un protagonista del centrodestra e che non sa quali fossero le sue attività imprenditoriali. Di certo Berlusconi non potrà ricordare quel “corno d’oro anti iettatura” che Matacena dichiara di avergli regalato nel 2000. L’ex parlamentare è come “cancellato” dalla storia forzista.

Sta di fatto che la testimonianza scivola via senza sussulti. Le telecamere rimangono ferme a riprendere l’aula, non l’ex presidente del Consiglio dei Ministri. Che poi si alza, ringrazia e va via. Probabilmente tirando un profondo sospiro di sollievo per aver messo la parola “fine” ad una delle poche giornate nelle quali ha dovuto fare i conti con ciò che ha più detestato nella sua vita: la sensazione della fragilità. Quella che, forse, lo ha accompagnato molto più spesso di quanto s’immagini, ma che ha imparato a combattere celandola dietro una sicurezza ostentata oltremodo. Non a Reggio Calabria, però. Non quella mattina di fine marzo di cinque anni fa, quando la legge dell’umana fragilità ha vinto persino sul riconosciuto mago della comunicazione italiana.