A chiamare in causa il presidente della Camera di Commercio di Vibo due collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono finite nel decreto di sequestro dell'azienda Fargil
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Il presidente della Camera di Commercio di Vibo Valentia, Michelino Lico avrebbe avuto rapporti con la cosca Mancuso. Lo affermano due pentiti di ‘ndrangheta, le cui dichiarazioni sono finite nel decreto di sequestro della Fargil, l’azienda sottratta ai Lico nell’inchiesta “Metauros” della Dda di Reggio Calabria che ha fatto luce sugli interessi della ‘ndrangheta anche nel settore della depurazione. Lico, infatti, deve rispondere del reato di intestazione fittizia di beni, per aver attribuito al figlio Santo la titolarità delle quote della Iam, azienda che opera a Gioia Tauro e serve più comuni della Piana con riguardo alla depurazione.
È il pentito Antonio Russo a chiamare in causa Lico, con le sue propalazioni. Russo spiega ai pm, infatti, di essersi recato personalmente nella sede della Lico e di aver parlato con Michelino, per chiedere l’assunzione di Enzo Giofrè. Un’assunzione da ritenersi «già fatta», in virtù del fatto che, a raccomandare quel nuovo ingresso, fu il boss Giuseppe Piromalli classe 1921. Ecco il passaggio più significativo dell’interrogatorio.
Russo: La Iam è stato presentato là per volere di Giuseppe Piromalli classe ’21, dice: lei come lo sa questo? Sono andato io a parlare con Lico agli stabilimenti portando i saluti di Giuseppe Piromalli
Pm: L’imprenditore Lico?
Russo: Sì, Lico Santo là, la società si chiama Lico Santo, sono andato agli uffici della Lico che sono uffici bellissimi
Pm: Dove stanno questi uffici?
Russo: A Vibo, non mi ricordo preciso la zona però vi potrei portare devo camminare un poco per trovarla, e parlai direttamente con il figlio di Lico quello che cura a Gioia Tauro la Iam gli dissi che lo saluta Giuseppe Piromalli e gli dissi che i Mancuso, mi disse di dirgli: digli che sono figli miei, gli dissi così dice questo ragazzo deve lavorare, dice che faccia la domanda e domani vediamo
Pm: Questo quando avvenne?
Russo: Quando è stato assunto Giofrè, data precisa ce la’vete dall’assunzione, data precisa data assunzione.
Pm: Cioè lei è andato il giorno prima, il giorno dopo….
Russo: Il giorno dopo è stato assunto a lavorare
Pm: senta…
Russo: Dice: Lo ritenga già fatto, dice però non lo posso fare adesso porti i documenti domani
Ma il pentito parla anche della Iam in generale spiegando che «non c’è attività a Gioia Tauro che non è sotto il controllo dei Piromalli». Le parole di Russo – scrivono gli inquirenti nel decreto – sono tutte puntualmente riscontrate.
Le intercettazioni di Mancuso
«Un ulteriore elemento di contiguità della famiglia Lico, in particolare di Michelino Lico con la cosca Mancuso», si legge nel decreto, è contenuto in un’indagine della Dda di Catanzaro, laddove il boss Pantaleone Mancuso (deceduto nel 2015), nel corso di una conversazione ambientale registrata il 7 ottobre 2011, all’interno di un casolare rurale di Limbadi nella sua disponibilità, esternò di aver intessuto rapporti con esponenti d’eccellenza dell’imprenditoria calabrese, fra cui Santo Lico, il figlio Michelino e il presidente del Consorzio di sviluppo industriale, Giuseppe Bonanno. Affermava Mancuso: «Io lo conosco… io lo conosco bene a questo! Abbiamo mangiato assieme là al… a Briatico dove c’è il coso là il ristorante… Abbiamo mangiato assieme con Santo (Lico, ndr), Michele (Lico Michele Roberto, ndr), lui (Bonanno Giuseppe, ndr), la cognata e la sorella.
Le dichiarazioni di Mantella
C’è poi anche il pentito Andrea Mantella che spiega agli inquirenti come «Michele Lico, figlio di don Santo Lico, ha ereditato i rapporti che il padre aveva stretto con la ‘ndrangheta e con i Mancuso in particolare. Per conto di Santo Lico si può dire che io abbia dato la vita, commettendo per lui anche un tentato omicidio. Il figlio si occupa delle attività imprenditoriali che erano del padre, in particolare nel settore edilizio, impiantistico e dello smaltimento dei rifiuti. Il giovane Lico so che aveva un ruolo nella camera di commercio.