Ancora guai per l'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza. Dalla Cittadella arrivano la revoca ai finanziamenti per gli impianti per l'accumulo dell'energia solare e la richiesta di demolirli: «Diversi dal progetto, senza autorizzazioni e in zona sismica».
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Vita breve, forse non troppo faticosa – dispendiosa, più che altro – ma comunque travagliata fino ad oggi quella degli impianti a concentrazione solare realizzati dall'Asp di Cosenza per rifornire di acqua calda ed elettricità l'ospedale “G. Iannelli” di Cetraro aiutando a far quadrare i conti con bollette meno salate: terminati a inizio 2017; sotto sequestro per un mese e mezzo alla fine di quello stesso anno, con un processo ancora in corso al tribunale di Paola; oggetto di due ordinanze di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi emanate dal Comune di Cetraro tra la fine del 2019 e quella del maggio scorso.
Se in municipio a Cetraro quegli impianti ben visibili dalla strada statale 18 vogliono buttarli giù e la Procura a Paola ipotizza reati compiuti nel realizzarli, ora dalla Regione – l'ente che li finanziava in toto con fondi europei e ha già trasferito all'Asp tra il 2015 e il 2017 il 90% dei 2,2 milioni di euro previsti – chiedono indietro tutti i soldi stanziati finora. Il dipartimento Politiche energetiche, dopo aver indagato sulla vicenda, «intima all’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza la restituzione della complessiva somma di € 1.965.200,11». Ce ne sono pure poco più di 26mila per gli interessi maturati dal giorno dell'erogazione di quei soldi a tre settimane fa.
I sigilli e il dissequestro
L'ennesimo spreco della sanità cosentina – o, se preferite, di fondi europei in Calabria – si è consumato su un terreno di 3000 mq con vista sul mare, in località Testa. Sessantasei parabole, due torri evaporative, una centrale termofrigorifera finirono a ottobre del 2017 nel mirino del pool guidato dal magistrato Pierpaolo Bruni, con i carabinieri del Nucleo Tutela patrimonio culturale di Cosenza a metter loro i sigilli e cinque persone (due funzionari dell'Asp e tre responsabili della progettazione e dell'esecuzione dei lavori) deferite. Un mese e mezzo dopo i giudici del Riesame disposero il dissequestro degli impianti, accogliendo la tesi degli avvocati degli imputati. Quell'impianto, dissero, riducendo le emissioni sonore e di gas e i consumi energetici – come riportava lo studio di fattibilità ambientale prodotto dalla difesa – «produce non pochi benefici per l’ambiente, limitando od escludendo l’utilizzo di fonti di energia tradizionali». Se tutti questi benefici per l'ambiente siano davvero arrivati non si è mai capito però, anche perché gli impianti sono stati presto circondati dalle erbacce e pare abbiano funzionato molto meno del previsto.
Niente documenti, progetti che cambiano e rischio sismico
La Regione, però, chiede la restituzione dei fondi stanziati perché i lavori sono stati realizzati senza le autorizzazioni necessarie e dove non si poteva costruire. A riportarlo è la relazione del Ctu nominato nel processo che li riguarda. Il consulente tecnico del giudice ha appurato che «la procedura autorizzativa necessaria per la realizzazione dell’impianto in esame è la procedura Pas (Procedura abilitativa semplificata). Nel caso in esame, invece è stata presentata una Scia in sanatoria a firma del responsabile del procedimento». Alla Pas, poi, andava allegato il nulla osta della Sovrintendenza perché – scrive ancora il Ctu – «l’intervento ricade nel campo di applicazione del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio». Il terreno che ospita gli impianti, oltre ad essere interessato da vincoli paesaggistici, è pure in zona sismica. Ergo, per costruirci su delle strutture in cemento armato, come accaduto a Cetraro, a Pas e nulla osta già citati va aggiunta pure l’autorizzazione del competente Ufficio Tecnico Regionale. E non c'è traccia di tutti questi documenti. Dulcis in fundo – è sempre il Ctu ad evidenziarlo – «è stata riscontrata la non conformità delle opere tra quanto realizzato e quanto riportato nella relazione descrittiva del progetto esecutivo».
Il diktat della Regione
Gli accordi tra la Cittadella e l'Asp erano altri, ovviamente, e con clausole ben precise. La più scontata vedeva la Regione imporre al beneficiario dei finanziamenti di «attuare l’intervento nel pieno rispetto della normativa comunitaria, nazionale e regionale di riferimento [...]e di effettuare i controlli amministrativi, procedurali e fisici previsti dalla normativa comunitaria, nazionale e regionale applicabile all’operazione oggetto di finanziamento». La sfilza di documenti ancora mancanti, tre anni dopo la conclusione dei lavori, è una violazione degli obblighi contrattuali tale da far scattare un'altra clausola, quella che prevede la restituzione dei finanziamenti. Gli uffici regionali, oltre a rivolere il denaro, si uniscono al Comune di Cetraro nel disporre «la demolizione delle opere eseguite in contrasto alla legge o, in alternativa, la redazione da parte del tecnico abilitato del progetto in sanatoria, conforme alle vigenti normative tecniche».
Classici intramontabili
L'Asp ha un mese per opporsi al decreto ma il futuro, vista la situazione, non si prospetta roseo. Rischia di dover rimettere di tasca sua i fondi europei, quasi due milioni di euro, a cui aggiungere altri soldi da sborsare per demolire o modificare strutture che, se realizzate a norma, il denaro avrebbero potuto farglielo risparmiare e senza aver speso nemmeno un centesimo per farle costruire. Il nome del progetto con cui furono finanziate era altisonante: Prometeo, come il titano che rubò il fuoco agli dei dell'Olimpo per darlo agli uomini, beccandosi in cambio da Zeus la condanna a farsi divorare ogni giorno il fegato (che nella notte gli ricresceva) da un'aquila. Col mito, nomi a parte, quei grandi ombrelloni metallici hanno poco altro da spartire. A fuoco – o, meglio, in fumo – andranno un po' di soldi pubblici e il fegato roderà giusto ai comuni mortali nel Cosentino, destinati a veder allargare ancora il buco nelle casse della loro Azienda sanitaria provinciale. Non sarà come la storia del Prometeo greco, ma è pur sempre un classico calabrese.
giuliani@lactv.it