VIDEO | Nell'hotspot della frazione Porto Salvo ci sono 170 profughi che attendono di essere trasferiti in altre località. Ai piedi infradito e per coprirsi solo i teli isotermici. La presidente provinciale della Cri: «Ci adoperiamo ogni giorno per farli stare meglio, si lamentano davanti alle telecamere per attirare l'attenzione»
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A piedi nudi con le infradito, qualcuno le indossa con i calzini. La maggior parte di loro non indossa giacche nonostante le temperature gelide di questi giorni, con la minima che ieri notte ha toccato i 5 gradi. «Abbiamo freddo», ci dicono nella loro lingua che traduciamo con il telefonino. Sono i migranti presenti nell’hotspot di Porto Salvo, a Vibo Marina. Il centro allestito dal ministero dell’Interno e gestito dalla Croce rossa italiana ospita attualmente 170 profughi sbarcati al porto della frazione della città capoluogo, che attendono di essere smistati nelle diverse località in base al piano di riparto. Sono tutti uomini. Giovani per lo più.
Vogliono andare via da qui. «È un mese che attendiamo il trasferimento». I cancelli del centro di giorno restano aperti. Si esce e si entra a qualsiasi ora. E alcuni di loro spesso si avventurano in fila indiana lungo le strade invase dalle erbacce, con il rischio concreto di essere investiti dietro una curva cieca.
A causa della mancanza di controlli all’ingresso non è difficile raggiungere il capannone dove pernottano. Le brandine sono disposte in fila. Al posto delle coperte ci sono i teli isotermici di emergenza, quelli argento e oro che abbiamo imparato a riconosce dalle immagini televisive e dalle foto degli sbarchi, che vengono usati per scongiurare l’ipotermia. I servizi igienici e le docce sono all’esterno. Una porta dei bagni è stata divelta dal vento.
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«Viviamo qui senza coperte, senza scarpe, senza vestiti, ma questo non interessa a nessuno. Vorremmo solo avere i nostri documenti per potere raggiungere amici e familiari che vivono in Italia e in altri Paesi europei», raccontano. Condizioni precarie che si possono riscontare con un colpo d’occhio. «Solo il cibo è good», conferma uno dei ragazzi rivolgendo il pollice all’insù.
All’interno dell’hotspot c’è la postazione della Croce rossa sempre presidiata dai volontari. È lì che incontriamo la presidente provinciale Caterina Muggeri, che ci invita ad uscire e, una volta all’esterno, ci fornisce la sua versione dei fatti che stride con quella dei migranti e offre un contraltare importante che merita di essere indagato. «Questo è un centro d’eccellenza», dice convinta. Sul perché i migranti non siano adeguatamente coperti ha una spiegazione: «Abbiamo fornito sia le scarpe che le giacche, ma molti li hanno impacchettati e spediti ai loro familiari». Poi ci mostra un magazzino pieno zeppo di indumenti. «Sono i kit che forniamo a tutti». Sull’assenza di coperte spiega: «Utilizziamo quelle isotermiche perché sono igieniche e impediscono la trasmissione di malattie. Tanti di loro - dice - hanno la scabbia». Molti lamentano l’assenza di assistenza sanitaria. «Anche questo è un falso - replica Muggeri -. Ogni giorno un medico volontario raggiunge il campo, e persino i medicinali che vengono prescritti li acquistiamo a spese nostre».
Eppure serpeggia il malumore. «Mi amareggia questa situazione - dice la presidente della Croce rossa -. Non gli facciamo mancare niente. Pensi che la mattina prepariamo panini con nutella e il pomeriggio il caffè per farli sentire in famiglia. I volontari fanno il possibile per rendere confortevole questa permanenza». Cibo “good”, appunto. «Non trovi un migrante che si dica soddisfatto davanti a una telecamera - spiega -. Eppure quando siamo soli ci ringraziano. A mio avviso si lamentano per attirare l’attenzione». Non ha dubbi Caterina Muggeri: «È il loro modo per dire siamo qui, aiutateci».