Un’attività di intermediazione svolta «in favore della compagine calabrese, nella piena consapevolezza dell’estrazione criminale degli esponenti del gruppo». Il dato pacifico che il Tribunale di Vibo Valentia non può esimersi dal riconoscere è che i broker Francesco Porretta e Irina Paduret – assolti in primo grado dall’accusa di associazione mafiosa e detenzione di un’arma – fossero consapevoli che la trattativa sull’affare degli idrocarburi, nella quale erano coinvolti, riguardasse il gruppo criminale facente capo a Luigi Mancuso, boss di Limbadi. L’inchiesta Petrolmafie racconta che i due broker milanesi avrebbero svolto un ruolo di intermediazione tra gli esponenti della compagine calabrese e i kazaki della Rompetrol.
Una trattativa che non andrà in porto anche se, scrivono i giudici, «l’insuccesso dipenderà da cause estranee alla volontà degli odierni imputati, ossia dall’inadeguatezza strutturale della D.R. Service», società riconducibile agli imprenditori Antonio e Giuseppe D’Amico.
Il comportamento dei due professionisti viene stigmatizzato dal Tribunale che li ha comunque assolti dall’accusa di associazione mafiosa ossia di avere avuto il ruolo di «anello di collegamento tra la cosca Mancuso ed importanti fornitori - italiani e stranieri».

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Esclusa l’intraneità alla cosca

I giudici escludono che i due professionisti fossero intranei all’associazione mafiosa tanto che «non appare configurabile nemmeno l’ipotesi del concorso esterno». Una dimostrazione di questa tesi arriverebbe da una conversazione del 30 novembre 2018 nel corso della quale Silvana Mancuso, rivolgendosi a Porretta e Paduret, ha pronunciato la frase: «loro senza di noi non fanno niente (...) loro senza me non fanno niente».

La tesi della Dda: «Hanno condiviso gli scopi dell’associazione»

Di parere diametralmente opposto la Dda di Catanzaro che ha proposto appello su questa assoluzione e mette in evidenza come «i due broker milanesi siano stati introdotti al clan Mancuso da Antonio Prenesti (che il Tribunale riconosce partecipe dell’associazione mafiosa) e che questi abbiano condiviso gli scopi dell’associazione e abbiano recato un contributo al sodalizio operante in Limbadi, mettendo in contatto il gruppo D’Amico-Prenesti-Mancuso Silvana con alcuni investitori esteri (affare della cosca Mancuso con i Kazaki dell’azienda Rompetrol), assicurando il loro impegno concreto nella gestione delle trattative e nell’attività di mediazione».

La “messa a disposizione” della cosca Mancuso

La Distrettuale ritiene che il Tribunale abbia tenuto conto di una lettura solo parziale di quanto emerso nel corso del processo. Nonostante gli affari per i quali i due broker erano stati chiamati in causa non siano andati porto «non si ritiene mutata la posizione soggettiva con riferimento alla cosiddetta “messa a disposizione” in favore tanto del sodalizio - nella piena percezione di esso -tanto nei confronti del suo capo indiscusso Luigi Mancuso».

L’appello: «Un rapporto di reciproci vantaggi»

«Francesco Porretta e Irina Paduret – scrive nella richiesta di appello la Dda – hanno infatti instaurato con la cosca Mancuso un rapporto di reciproci, illeciti, vantaggi, consistenti per Porretta-Paduret nell’aver ottenuto clienti di spiccata potenza finanziaria (da loro stessi indicati come la famiglia più potente al mondo intenzionata a prendere il mercato italiano), con i quali avevano intenzione di concludere svariati affari (sia nel settore dei carburanti che in quello immobiliare) e avere, quindi, rilevanti prospettive di guadagno, e per la consorteria, nell’ottenere risorse, servizi e/o utilità (in specie, nuovi clienti, servizio di mediazione e ingenti potenziali guadagni)».

Lo Zio Luigi e i messaggini per il broker sul tovagliolino

La Distrettuale mette in evidenza anche l’elemento psicologico che avrebbe legato i due broker al boss Luigi Mancuso.
I due «si mostravano fieri dei vari riconoscimenti del capo cosca nei loro confronti». Nel corso di una telefonata Poretta racconta a Paduret che il boss gli ha scritto un messaggio su un tovagliolino: «No, no con me mi abbracciava... mi ha fatto... sul tovagliolo mi ha scritto: "Francesco è un bravissimo ragazzo" (ride) figa... dolcissimo».
«Ma davanti a tutti?», chiede Paduret.
«No me la scritto mi ha dato... mi dava la gomitata: “Guarda guarda” … era sempre attaccato a me non mi mollava, stava sempre seduto accanto a me».

Il disprezzo per i collaboratori di giustizia e per Gratteri

Il Tribunale non menziona i commenti «con disprezzo sulla figura del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, reo di aver parlato contro lo Zio, che inspiegabilmente - a loro avviso - non era ancora intervenuto per metterlo a tacere. Tali asserzioni venivano pronunciate dopo aver commentato altri collaboratori di giustizia, commentando tra le altre cose, l’operato del procuratore Gratteri» il quale viene definito «un bel pezzo di m***a» e Porretta si chiede, riferendosi all'attività del magistrato, «Ma cosa ti danno una medaglia?».

I due giudicano il collaboratore Emanuele Mancuso un ragazzino, drogato e ubriacone: «Un drogato, adesso prendete le questioni di un drogato, ubriacone...», dice Irina Paduret.

«E di due co***i  - dice Porretta riferendosi a Mantella e Moscato – che facevano parte anche loro... adesso perché l'hanno scartati, che sono stati cacciati, allora parlano, però prima ci mangiavano ci vivevano ci mangiavano sopra, adesso sai cosa sarebbe da fare... ma il problema che non hanno...».

Eliminare il collaboratore: «Un attentato pàpà pà, lo carichi e lo porti via…»

Porretta poi, riferendosi a un altro collaboratore, lo chiama in causa «auspicando un intervento della cosca per farlo tacere».
«No, fare un colpo bello – dice Porretta –, proprio fatto bene, quando sanno che dal Tribunale lo portano eh, che se si vuole si viene a sapere, anche questo si viene a sapere se si vuole, via un attentato pàpà pà, lo carichi via e lo porti via, hai capito?».

«Guadagnarsi il prestigio in ambiente criminale»

La Dda insiste sulla «messa a disposizione incondizionata del duo in favore della consorteria, del resto, era chiaramente orientata a guadagnarsi il prestigio e la notorietà nell’ambiente criminale, al fine di accaparrarsi successive entrature nel settore commerciale dei carburanti e conseguenti prospettive di guadagno».