«Sono come l’oro…se li stanno tenendo come l’oro perché sono rari…hai capito?». I Kalashnikov per la ‘ndrangheta sono da sempre le armi più “preziose” e anche tra le carte dell’inchiesta “Arma Cunctis”, messa a segno dalla Squadra mobile della Questura reggina e dagli agenti del commissariato di Siderno, si evince come le cosche tentavano in tutti modi di averli nella loro disponibilità. Il particolare si desume infatti, da un dialogo intercettato tra Domenico Zucco, classe 1982, e Giuseppe Arilli, entrambi coinvolti nell’inchiesta che ha decapitato i clan Filippone e Cataldo, attivi tra Siderno e Locri, federati alla cosca Commisso, una delle più potenti di tutta la Locride.


«Vuoi un Kalashnikov nuovo nuovo nuovo?» chiede Zucco ad Arilli, ritenuto dall’Antimafia dello Stretto uno dei soggetti di spicco dell’organizzazione dedita al traffico di armi, e quest’ultimo sottolinea come «dalla parte della Piana si trovano …come vuoi». I due sono informati su prezzi e disponibilità e sanno anche che i Kalashnikov sono rari. Zucco: «A me devono portare quelle cose…due  Kalashnikov nuovi nuovi nuovi…costano un occhio della testa vogliono duemilaquattrocento euro l’uno…duemilaquattrocento euro…però se riesco a venderli…hai capito?…non è che se li pagano…se riesco a cacciarli…per guadagnare qualche cento euro io altrimenti…».

L’organizzazione criminale, secondo l’inchiesta della Dda reggina, aveva la sue ramificazioni a Siderno, nella piana di Gioia Tauro, nelle zone di Platì e San Luca, per giungere fino alla Valle d’Aosta ed alla Liguria. E sull’offensività e sulla pericolosità delle armi che il gruppo maneggiava gli stessi ne erano consapevoli. «Questi qua - dirà sempre Zucco intercettato - solamente per uso…per fare male a qualcuno in modo brutto ecco…non è che servono per andare a caccia». Servivano infatti, per fare soldi. Un business redditizio che da sempre ha riempito le casse delle ‘ndrine da un lato, mentre dall’altro le ha sempre viste “pronte” eventualmente a scendere in guerra con le famiglie rivali.

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Nelle oltre mille pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip reggino Natina Pratticò, decine e decine sono le intercettazioni telefoniche e ambientali che comproverebbero il vasto giro clandestino di armi. «Con riferimento all’attività d’intercettazione - sottolinea il gip - va evidenziato che la chiave di lettura delle conversazioni captate non è stata particolarmente difficoltosa poiché l’opera di decriptazione è risultata agevole a cagione del ricorso, da parte degli interlocutori, nel caso di conversazioni ambientali, a termini ed espressioni assolutamente chiari, nella convinzione di essere al riparo da qualsiasi attività di intercettazione».


Erano però tutti monitorati e intercettati dalla Polizia 24 ore su 24. Quando invece, i vari indagati hanno “tentato” di nascondere il vero significato pronunciato, gli inquirenti-attraverso un lavoro certosino- hanno decifrato tutti i passaggi più criptici. «Nel caso di intercettazioni telefoniche, chiosa il gip, l’attività di decriptazione è stata agevole per il ricorso da parte dei propalanti ad espressioni allusive facilmente smascherabili combinando quelle espressioni con gli esiti della parallela attività d’indagine svolta dagli Inquirenti di osservazione, pedinamento e controllo».

 

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