L’unica reazione possibile verso la Russia da parte dell’Occidente all’invasione dell’Ucraina è quella delle sanzioni. Difficile immaginare reazioni di tipo militare. Anche se, la storia insegna che di fronte alle escalation militari il baratro è sempre ad un passo. L’Italia e la Germania sono più esposti alle conseguenze delle sanzioni, soprattutto sul piano delle forniture energetiche. Anche Francia e Spagna avrebbero conseguenze pesanti.

Tra le sanzioni al vaglio dei sistemi occidentali contro la Russia di Putin, ne stanno valutando una estrema: l’esclusione della Russia dal sistema della circolazione elettronica del contante. Il provvedimento isolerebbe il sistema bancario russo dalle transizioni monetarie su scala globale. Gli Usa, infatti, controllerebbero la società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie a livello mondiale una sorta di sistema di messaggistica tra banche che muoverebbe il sistema dei bonifici. Tuttavia, la Russia, non viene colta di sorprese dalle sanzioni occidentali, tra le quali quella verso la Bank Rossiya, ritenuta dalle strutture occidentali, l’istituto finanziario personale di Putin.

Difficile, comunque, immaginare, che tali misure possano avere un impatto fondamentale sulla tenuta economica della Russia. Fin dalla precedente crisi del 2014, l’economia russa ha preso le sue contromisure per resistere. Si è sganciata progressivamente dalla dipendenza dal dollaro, aumentando il volume di valuta estera. A gennaio di quest’anno le riserve internazionali del governo russo erano a livelli record, oltre 630 miliardi di dollari. La quarta quantità più alta al mondo, in questo caso per sostenere il rublo. Il punto vero, è che le sanzioni che colpiscono la Russia, paradossalmente colpiscono anche la nostra economia, sia quella europea che quella italiana.

Le Borse sono sempre più a picco, Francoforte con un -5% azzera i guadagni di un anno. A rischio anche le banche in Europa. A Milano Unicredit -9,9%, Intesa Sp -8,2%. Ergo, le sanzioni potrebbero rivelarsi una catastrofe per la nostra economia.

Le carte migliori di Putin riguardano le forniture energetiche. Poche invece le conseguenze per Gran Bretagna e Usa, questi paesi non dipendono dalle forniture russe, mentre, invece, non si può dire la stessa cosa per il resto dell’Europa. L’UE ottiene il 40% delle forniture di gas naturale dalla Russia. La Gran Bretagna, per esempio, solo il 3%. La situazione, dunque, è estremante complessa. Forse le uniche sanzioni veramente pesanti per la Russia sono quelle destinate agli oligarchi. Sanzioni che potrebbero colpire indirettamente Putin. Le prime esasperazioni della crisi Ucraina, hanno già ripercussioni sul piano sociale nel nostro paese. La crisi manda alle stelle il prezzo del gasolio. Petrolio e bollette schizzano in alto,  ed è subito rivolta: i camionisti bloccano le autostrade.

La prima grande conseguenza del gasolio alle stelle tra 1,728 e 1,867 euro al litro: un 30% in più, in proiezione, che include pedaggi, gomme ecc. La guerra in Ucraina,dunque, potrebbe avere conseguenze devastanti per l'Italia. Diciamocelo francamente, di fronte a questo conflitto, il nostro paese, anche per colpa di politiche energetiche sbagliate, si presenta in braghe di tela. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, tra i maggiori esperti del settore in Italia, afferma che  il gas potrebbe «aumentare facilmente fino a 200 euro al metro cubo» con il conflitto. «Questo vorrebbe dire un ulteriore raddoppio delle bollette per imprese e famiglie rispetto ai valori attuali».

Dalla Russia, infatti, arriva il 43% di tutto il gas importato dall'Italia. Ieri alla Camera il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha delineato un quadro chiaro: «In Italia - secondo il ministro - abbiamo ridotto la produzione dai 17 miliardi di metri cubi a poco più di 3 miliardi del 2020. In 20 anni siamo scesi da 17 a 3 a fronte, però, di un consumo globale costante. Abbiamo ridotto la nostra produzione ma a parità di gas consumato, e importato, quindi senza beneficio ambientale ma con un disinvestimento dal punto di vista dell’industria nazionale».

L’analisi sulla nostra subalternità energetica rispetto a fornitori stranieri è chiara: «Nei fatti – osserva Cingolani- siamo totalmente dipendenti dall’import del gas». Ieri, il gas naturale ha chiuso a 87 euro al megawattora, in crescita del 9%, una quotazione che fa impallidire i 20 euro pagati fino a pochi mesi fa. A innervosire il mercato, però, è stata soprattutto la decisione del cancelliere tedesco Scholz di rinviare l’entrata in funzione del Nord Stream 2, il gasdotto che aggira l’Ucraina e collega direttamente Germania e Russia. Come finirà questa escalation ancora non è chiaro. L’unica cosa certa sono i danni che subirà il nostro paese sul piano economico. Ciò dovrà indurre l’Italia, l’Europa e i paesi della Nato a ragionare su prospettive e futuro della dell’alleanza atlantica. Legittima e sacrosanta la lealtà ad un’alleanza, che per la verità ha ormai molte ambiguità, come quella della presenza della Turchia, e tuttavia, è altrettanto legittimo che la stessa alleanza si faccia carico delle diverse conseguenze che subiscono i paesi membri come in questo caso.