«Ho combinato un macello! Ho rovinato persone che non mi avevano fatto nulla». Lo sguardo è fortemente preoccupato, l’espressione affranta. Porta spesso le mani sulla fronte, come fa chi l’ha combinata davvero grossa. È una testimonianza molto sofferta quella vissuta nell’aula bunker di Viale Calabria al processo “Gotha”. Sul banco dei testimoni siede Gaetano Chirico, cugino di Francesco Chirico, imputato del processo con l’accusa di essere uno dei riservati della cosca De Stefano. 

 

Gaetano Chirico ha un compito molto arduo: rispondere alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che fa riferimento ad alcune intercettazioni che vedono Chirico protagonista diretto. Insomma, si tratterebbe di smentire dichiarazioni che lui stesso ha reso in maniera spontanea e genuina. Perché Chirico non è un uomo di ‘ndrangheta – come lui stesso si affretta a precisare – ma è uno di quelli che i fatti di mafia li conosce molto bene. Talmente tanto da sapere quasi in tempo reale quali siano le vicende che interessano la cosca De Stefano nel 2005, dunque in un periodo di grande fermento interno. 

I primi rapporti con l’Arma

Le domande del procuratore sono ficcanti e puntuali. Lasciano poco spazio all’interpretazione del teste. Che arranca, tenta di negare ed alterna risposte un po’ evasive a lunghi silenzi. Ma cosa ha detto di così importante Gaetano Chirico? Che macello ha combinato? Quali persone avrebbe rovinato? Tutto va ricondotto ad un rapporto di conoscenza che si instaura fra lo stesso Chirico ed un maggiore dei carabinieri. Quest’ultimo aveva l’intenzione di frequentare la figlia. Da qui la conoscenza con l’esponente dell’Arma. Il quale, a sua volta, gli presenta un collega: è il tenente Trovato che, in poco tempo, crea un rapporto di fiducia e stima con Chirico, tanto da raccoglierne le confidenze. «Sono stato molto leggero – va ripetendo Chirico – e mi sono fidato. Ha carpito la mia fiducia in modo intelligente facendomi credere di essere un amico». In verità, c’è un altro episodio che serve a contestualizzare la testimonianza di Chirico: l’11 giugno 2005 subisce un atto intimidatorio. Una tanica da cinque litri di benzina viene recapitata assieme ad un messaggio: «Chirico non rompere i coglioni e fatti i cacchi tuoi». L’uomo si reca allora dai carabinieri, anche se a distanza di diversi giorni, per denunciare il tutto. In quel momento, probabilmente, si crea un ulteriore rapporto di conoscenza con esponenti dell’Arma. Anche se Chirico si affretta a ribadire: «Non sono un confidente». E soggiunge: «Nessuno mi ha mai chiesto nulla. Né soldi né auto». L’uomo, infatti, si è sempre occupato di acquisto e vendita di autovetture, dapprima in una concessionaria Opel, poi in autonomia. 

 

Succede allora che, nel corso del rapporto con il tenente Trovato, Chirico inizia a parlare un po’ di tutto, ignorando di essere regolarmente registrato. Chirico classifica quelle intercettazioni come «abusive», ma l’ufficiale dell’Arma era regolarmente autorizzato dall’autorità giudiziaria. E i discorsi che fa sono di straordinario valore probatorio. «Lei – afferma il pm – parla di Orazio De Stefano, Giuseppe, Paolo Rosario, dei rapporti interni alla famiglia, così come di Dimitri e di una serie di soggetti politici». Chirico ascolta e recrimina: «Io quelle cose non le conoscevo». Lombardo ironizza: «Allora è un indovino». Chirico coglie la palla al balzo: «Sì, in caso significa che sono un indovino. In quel periodo ho detto solo delle grandi fesserie. Non è la verità quella, ma ciò che dirò oggi». 

Chirico impaurito?

Il teste si dimostra particolarmente recalcitrante a rispondere alle domande del pubblico ministero e affonda: «Non mi rovini completamente la vita!». La sensazione è che, nella sua testa, Chirico abbia per un verso una terribile paura; per altro verso la voglia di correggere il tiro per evitare problemi più gravi al cugino. Il testimone prova anche a tirare in ballo sua figlia: «Francesca è una scrittrice, ha rapporti anche con un importante magistrato romano, un suo collega», ripete rivolgendosi al procuratore Lombardo. «Non credo che quello che dirò oggi – aggiunge Chirico – possa dare qualcosa in più a quello che già si sa». Il pm incalza: «Sono vere quelle circostanze? Le possiamo dare per acquisite?». Ci prova, il teste, a fornire un diverso motivo di quelle sue parole: «Avevamo litigato con Franco Chirico ed io parlavo per invidia». Lombardo si ferma e inizia a elencare tutte le persone delle quali Chirico parla nei documenti in possesso delle parti: dalla casa da vendere ai Fontana, tramite De Caria, ad altre problematiche sempre afferenti la cosca De Stefano, i rapporti fra Orazio ed i nipoti. Insomma, tutto ciò che da tempo già si conosce e che è confluito in numerose indagini e processi, terminati con condanne. 

Lo scontro Orazio-Peppe

Fra gli argomenti affrontati, c’è anche quello concernente lo scontro fra Orazio e Giuseppe De Stefano. Tutto parte dal rapporto instaurato da Giuseppe con una donna dei Barbaro di Platì. Il rampollo del casato di Archi lascia quella ragazza e Orazio, come si evince dalle registrazioni, s’infuria con il nipote arrivando a dire che lui non era più suo parente e che avrebbero potuto ammazzarlo. 

Chirico l’ha messo Sarra

Anche con riferimento alla posizione lavorativa di Franco Chirico, divenuto funzionario regionale, Gaetano Chirico, nei suoi discorsi intercettati, fa sempre riferimento a Sarra affermando che fu lui a volere Frano Chirico alla regione. Il teste si dispera: «Ho combinato un macello, non lo conosco Sarra». Tuttavia le sue parole combaciano anche sul versante degli affari privati (come ad esempio l’acquisto delle farmacie) o i viaggi a mangiare fra San Luca e Platì.

Uomo contrario alla ‘ndrangheta

Il testimone va oltre e riprende: «Franco Chirico non è mai stato nella ‘ndrangheta, ne parlava male e, nei miei confronti, ha fatto molto per consentirmi di non perdermi per la strada». Poi la nuova difesa d’ufficio: «Sono io che ho ingarbugliato tutto. Sono un cretino ho rovinato Franco Chirico».

Quei bravi ragazzi

A giudizio di Chirico tutti quelli arrestati ed appartenenti al casato dei De Stefano-Tegano, non vano buttati via. Giuseppe De Stefano? «Per me è un signore». Andrea Giungo? «Un bravo ragazzo!». Paolo Rosario De Stefano? «Pure, non mi ha mai toccato». Mimmo Morabito? «Un bravissimo ragazzo». Paolo Schimizzi: «L’avrò visto due volte, ma so che è nipote dei Tegano». 

Le domande si susseguono, la tensione sale. Chirico si lascia andare persino ad un pianto da stress, portandosi la mano al volto. «Mi vergogno di andare a casa, non mi hanno mai minacciato né fatto nulla ed io ho sbagliato con loro». Il pm non smette: «Lei non ha il coraggio di confermare quello che ha detto Trovato perché ha paura o perché è troppo amico di Chirico?». Gaetano replica stizzito: no, paura no, voglio solo cambiare versione. Ho combinato un macello».

Ma per questo, ormai, è già troppo tardi.