Giovanni Zumbo? «Non si capiva se voleva fare il poliziotto, se voleva fare il mafioso». È forse una delle espressioni che riesce meglio a sintetizzare la figura di Zumbo quella riferita dal pentito della cosca De Stefano, Antonino Fiume e delineata nella sesta puntata del podcast “Gotha – processo agli invisibili”.

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È davvero difficile decifrare cosa veramente sia stato quello che un tempo era commercialista ma anche amministratore di beni giudiziari sottoposti a sequestro dal Tribunale di Reggio Calabria. Zumbo, infatti, era anche una persona che godeva di un certo credito negli ambienti istituzionali. Al punto di essere in possesso di informazioni molto riservate su inchieste giudiziarie ancora da eseguire e in fase embrionale e che va a riferire a boss di particolare calibro come Giuseppe Pelle “Gambazza”.

Ma, aspetto che spesso passa sottotraccia, per il Tribunale di Reggio Calabria, Giovanni Zumbo era un riservato della cosca De Stefano. Ecco cosa ne pensa il pentito Antonino Fiume.

DICH. FIUME -. Sì, Gianni Zumbo era un altro che frequentava, era uno, come dire, riservato, però io ho sempre detto sindacava troppo, perché lui c’era un periodo non si capiva da che parte volesse stare, se voleva... chiedeva sempre come avviene l’affiliazione, gli domandava a Carmelo Caminiti e a Silvio Zema come vengono affiliate le persone, faceva troppe domande un po’... io lo tenevo... lui andava più d’accordo con Carmine De Stefano, però nel periodo che Giuseppe De Stefano ebbe la relazione con sua zia, con Mariolina Zumbo, era sempre a casa lì da noi. poi si distaccò per un periodo, però quando fu del sequestro dei beni, si mise a disposizione. Lui gestì col Giudice (inc. audio distorto), lui aveva tutte le carte in mano di quello che era il processo e aveva fatto una cosa che poi rivolgendosi a me, disse: “Per lo zio Peppino, questo è altro”. Lui sì, era dentro come riservato, perché lui lavorava... lui poteva entrare, lui poteva...

P.M. - E che tipo di rapporti ha avuto Lei con questa persona?

DICH. FIUME. - Come?

P.M. - Che tipo di rapporti ha avuto Lei con questa persona?

DICH. FIUME –. Ma io lo conoscevo da ragazzino, lo incontravo spesso, poi prima di arrivare a lui, però, aspetti, c’è un passaggio, non era infilato diretto a parlare di queste cose del sequestro dei beni, perché Gianni Zumbo aveva quell’autorizzazione al Tribunale, non so che incarico di preciso aveva al Tribunale, lui poteva entrare in Tribunale, poteva fare quello che voleva e però da lui eravamo arrivati tramite Mario Giglio, l’avvocato, che erano stati la stessa cosa tutti e due. Ecco, due riservati tutti e due che si erano messi a disposizione per quel sequestro dei beni, sì. Ecco, ma con lui poi io per un periodo l’avevo incontrato con... lo incontravo spesso con... con uno che aveva avuto a che fare con un omicidio, cioè ci aveva fornito il fucile, con Mico Tripodi, uno che era con i Tegano, però si vociferava che fosse l’amante della moglie di Gianni Zumbo, non lo so queste cose qua io. Erano sempre insieme, era uno dei Tegano.

P.M. - Ma lei lo sta classificando tra i riservati per quale motivo?

DICH. FIUME –. Perché non era affiliato lui, lui era questa cosa che... come devo dire, a lui il fatto che era parente dei De Stefano già era in alto, però nell’ambito del poligono e di altre persone di quelle dei servizi, lui si metteva a... faceva discorsi con D’Antona, quello lì l’agente, quello che è morto, quello di Cosenza che era mischiato in queste cose qua. Lui non si capiva se voleva fare il poliziotto, se voleva fare il mafioso.

Giovanni Zumbo, dunque, a cavallo tra servizi segreti e ‘Ndrangheta. Con un piede dalla parte dello Stato e uno dalla parte della mafia. Lui ritiene, com’è noto, che tutto ciò avvenisse sotto l’egida di personaggi appartenenti ad ambienti istituzionali. Ma c’è qualcosa di non scritto ancora su questa storia? Lo abbiamo chiesto ai giornalisti di Repubblica, Alessia Candito e Giuseppe Baldessarro, le cui analisi completano la puntata dedicata alla “talpa”.