L’inizio della fine della storia criminale del clan di Gallico è l’omicidio di Fortunata Fortugno, donna uccisa per errore da un commando della ’ndrangheta a Reggio Calabria. I killer avrebbero dovuto colpire soltanto il suo compagno, Demetrio Logiudice, boss vicino al clan Tegano. Quella morte provoca in Mario Chindemi «un certo ripensamento del proprio vissuto criminale». Nasce così una delle collaborazioni che i magistrati antimafia considerano tra le più preziose per illuminare relazioni e crimini in una delle aree chiave per la criminalità in riva allo Stretto.

Pentito prezioso per i pm della Dda, pericoloso per il clan che puntava a governare il quartiere di Gallico. Mariano Corso, che per l’accusa è uno dei capi del gruppo criminale, commenta così la scelta del collaboratore di giustizia: «Sono rimasto male che si è pentito Mario Chindemi… sono due giorni! È scomparso… i figli, si sono portati a tutti, è sotto protezione». Nel 2018, il pentito traccia l’organigramma della cosca di Gallico e racconta che «a seguito dell’omicidio di Domenico Chirico, dopo uno sbandamento iniziale, la cosca era stata riorganizzata da Sebastiano Callea, cognato di Chirico e genero di Paolo Surace)». Quest’ultimo risulta essere suocero di Paolo Iannò, braccio destro del “Supremo” Pasquale Condello, che di Gallico era stato una delle figure preminenti prima di pentirsi. Dal rosario dei nomi emergono legami e fatti di sangue. Surace, anche lui componente apicale della cosca di Gallico, morì in un agguato mafioso nel 1988: assieme a lui perse la vita anche il genero Domenico Cartisano, padre di uno degli indagati nell’inchiesta odierna della Dda, Carmelo Natale Cartisano. Cerchi familiari che si chiudono. Tutti, o quasi, hanno sullo sfondo fatti di sangue: Gallico è sempre stata una polveriera pronta esplodere.

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I racconti di Chindemi aiutano i magistrati del pool antimafia a ricostruire personaggi e ruoli criminali nell’area. Il pentito, battezzato ’ndranghetista nel 1990 dal boss Santo Araniti, era entrato nella cosca di Sambatello assieme al fratello Pasquale Chindemi, che «aveva assunto – sintetizzano gli inquirenti – la dote più rilevante della “Santa”».

Oltre a Mario Chindemi e a suo fratello, «della cosca di Gallico avevano fatto parte gli odierni indagati Antonino Crupi e Domenico Marciano, oltre al defunto Francesco Catalano, detto “il bombolaro”», i cui presunti killer sono finiti in manette nell’inchiesta Gallicò. Il capo cosca sarebbe stato Sebastiano Callea, cognato di Paolo Iannò: «Nell’attuale organigramma dell’associazione mafiosa operante a Gallico – dice il pentito – hanno un ruolo significativo Nuccio Callea di Ortì, che è a capo della consorteria, Domenico Marcianò detto “Briscola”, Antonino Crupi detto “Nino”, Francesco Catalano detto “Ciccio Bombolaro”».

Nel clima magmatico di Gallico, Pasquale Chindemi decide «di costituire un nuovo gruppo composto dal fratello Mario, da Santo Pellegrino, Domenico Pellegrino, Antonio Mordà, Paolo Chindemi ed Ettore Bilardi». I membri di questo presunto gruppo sono stati tutti condannati (tranne Mordà) in primo grado nel procedimento De Bello Gallico «che permetteva di accertare – sia pur sulla base di una sentenza non ancora irrevocabile – l’esistenza del gruppo mafioso, autore di numerosi atti intimidatori, nonché detentore di un arsenale oggetto di sequestro». A questo gruppo, tanto per chiudere il cerchio del pentimento di Chindemi, è stato «ascritto anche l’omicidio di Fortunata Fortugno e il tentato omicidio di Demetrio Logiudice».

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Questo progetto scissionista «era nato dall’ambizione di Pasquale Chindemi, il quale si sentiva preso in giro dai sodali e aveva deciso di reagire» con «alcuni attentati nei riguardi di soggetti vicini al capo cosca Callea e puntando persino a uccidere quest'ultimo, ragione per cui il gruppo Chindemi aveva accumulato un arsenale ed aveva acquistato delle pettorine della Dia (oggetto di sequestro nel procedimento De Bello Gallico) che Mario Chindemi dichiarava essere finalizzate ad azioni contro Callea e contro soggetti del suo gruppo».

Anche la parabola criminale di Pasquale Chindemi finisce nel sangue: l’aspirante boss scissionista viene assassinato da mani ignote «nell'ambito di dinamiche evidentemente riferibili a dissidi interni alla 'ndrangheta».

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Una bomba pronta a esplodere, questo era il quartiere di Gallico. D’altra parte, appuntano gli inquirenti, «lo stato di fibrillazione del contesto mafioso di Gallico trova eloquenti riscontri nei numerosi episodi intimidatori dettagliatamente indicati nella richiesta cautelare e pure menzionati da Chindemi (tra cui quelli in danno di Carmelo Natale Cartisano in data 22 novembre 2017 e quello del 7 novembre 2017 ai danni di Carmelo Giuseppe Cartisano), nonché, soprattutto, nei numerosi omicidi occorsi, nel tempo, in danno di soggetti gravitanti» in un contesto di ’ndrangheta. Negli atti dell’inchiesta vengono richiamate le uccisioni di Domenico Consolato Chirico, Giuseppe Canale, Pasquale Chindemi, Fortunata Fortugno – anche se il vero bersaglio era Demetrio Logiudice – e, successivamente, di Francesco Catalano.

Un lungo elenco di omicidi che non ha fermato i tentativi della cosca di ricostituirsi. Lo dice ancora Chindemi quando identifica i presunti affiliati al clan: «Come base principale ci sono tutti gli affiliati che sono quindici, sedici ragazzi, possiamo dire pure venti». Nuove leve per una polveriera pronta a esplodere.