C’è il racconto della fatica che costa lavorare su una maxi inchiesta come Gotha, con i tentativi di infangare il lavoro della Dda di Reggio Calabria e di captarne lo sviluppo. E poi c’è la storia di un giovane di Archi che incrocia uno degli snodi centrali nella storia criminale d’Italia: il rapporto tra i clan calabresi e pezzi (deviati) dei Servizi segreti. La prima puntata del nostro podcast “Gotha, processo agli invisibili” è l’inizio di un racconto che può contare (anche) sulla voce dei protagonisti di questo monumentale processo.

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Lombardo: «Abbiamo svuotato il pozzo in cui la verità si era rifugiata per anni»

Quella del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo si leva chiara in aula per illustrate indagini (e le relative conclusioni tratte dall’accusa) che hanno illuminato un tratto oscuro e controverso della storia d’Italia. È efficace la metafora utilizzata dal magistrato durante la requisitoria: «Il processo Gotha è la tappa conclusiva del lavoro di chi ha svuotato il pozzo dove la verità si era rifugiata per anni, con le mani nude – poche mani nude prima, tante mani nude poi – per cercare quella verità che era scomparsa da troppo tempo». Per ogni lavoro difficile c’è un prezzo da pagare: «Sapevamo di rischiare, immaginavamo gli attacchi e le calunnie che ci avrebbero investito – sottolinea Lombardo –. Sapevamo bene che avrebbero inventato contatti o rapporti, che avrebbero fatto di tutto per sapere e impedire, sapevamo che avrebbero cercato di capire cosa pensavamo e cercavamo, cosa ci impensieriva, cosa ci spaventava. Tutto questo è stato fatto in dodici anni di lavoro che sfocia in questo processo».

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Serpa e la relazione tra ’ndrangheta e servizi segreti deviati

Dodici anni, migliaia di intercettazioni e documenti. Tra i verbali si affacciano passaggi chiave nella storia della ’ndrangheta. Visti anche attraverso gli occhi di un ragazzino di Archi. Carmelo Stefano Serpa era «nel posto sbagliato al momento sbagliato» e «a 8 anni» ha iniziato una sorta di “educazione criminale”. Lo confessa in uno degli interrogatori resi ai pm antimafia: «Non avevo la mentalità del mafioso o del delinquente ma è andata com’è andata e a 13 anni mi sono ritrovato in un centro di rieducazione, dove ho conosciuto tanta gente e mi sono dovuto difendere da tante cose». A quel punto, uscito da un’esperienza che avrebbe dovuto “raddrizzarlo”, Serpa era un uomo a disposizione dei De Stefano. In una delle udienze del procedimento Gotha racconta un episodio ricostruito nel nostro podcast. Non era neppure maggiorenne («avevo 16-17 anni») ed era entrato nelle grazie di Giorgio De Stefano («si era instaurato un certo rapporto d’amicizia»). Serpa racconta l’incontro dello «zio» con un funzionario della Questura di Napoli: «C’ero pure io ed era rimasta la porta aperta: ho sentito quello che si dicevano». Il funzionario «diceva: ci vediamo nel pomeriggio e ti presento tutti quelli di Roma ai quali dovrai riferire perché io lascerò la Polizia di Stato. Se ricordo bene era la polizia ad avere questo rapporto diretto con i Servizi». Quel ragazzino di Archi aveva assistito a un patto tra la ’ndrangheta e un pezzo dei servizi segreti deviati. È un altro degli spunti offerti dalla prima puntata del nostro podcast “Gotha, processo agli invisibili”, che approfondisce e ricostruisce lo scenario descritto da una sentenza monumentale.

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’Ndrangheta ed eversione nera, e la rete di rapporti per «annientare le fondamenta dello Stato»

«Il quadro che emerge dalle dichiarazioni dei collaboratori, e dai relativi riscontri – scrive il presidente Capone nelle motivazioni del verdetto – consente di affermare che la ‘ndrangheta ha interagito con strutture massoniche segrete, forze politiche extraparlamentari eversive, in un disegno comune che trova la sua origine nella contrapposizione allo Stato, con finalità di sopraffazione ed annientamento delle fondamenta ordinamentali dello Stato democratico. Nel contesto in cui prendevano forma movimenti come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, l’obiettivo sovversivo veniva attuato attraverso l’impiego e la collateralità di elementi appartenenti ai servizi segreti deviati ed alla massoneria, con la manovalanza di gruppi della criminalità organizzata, tra cui certamente la ‘ndrangheta. Si sviluppava quella che venne definita “la strategia della tensione”, consistente in un disegno eversivo basato principalmente su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare, in Italia, uno stato di tensione e paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario».