Il pestaggio di Pellaro. Tutto ha inizio a Pellaro, quartiere di Reggio Calabria, dove la famiglia Franco, affiliata della più potente Tegano, la fa da padrone. Siano nell’aprile 2012, in pieno giorno, nel quartiere si sente confusione, sta succedendo qualcosa. Per strada due uomini, Filippo Gironda e Giovanni Ambroggio, avvicinano Demetrio Battaglia, “un malandrino” di poco conto. Inizia un' accesa discussione che sfocia inevitabilmente nel pestaggio. Stessa scena viene ripetuta con Roberto Berlingeri, accusato anche lui, dai Franco, di aver sottratto 2 chilogrammi di tritolo in possesso al clan. I due non parlano quindi, caricati a bordo di un auto, vengono trasportati in un capannone di proprietà dell’imprenditore Gironda, lì continua il pestaggio. Nessuno parla, nessuno ha visto niente. Tra la gente vige la regola “non parlo, non vedo, non sento”. Pochi giorni dopo, nell’ambito dell’operazione “Tnt”, Berlingieri, Battaglia e altre otto persone vengono arrestate perché in possesso di una ingente quantità di tritolo. Quel tritolo che, come scaturito dall’operazione scattata questa mattina, era di proprietà della cosca Franco.


“C’è un muro di omertà” .“Grave, gravissimo – dichiara il Procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho nel corso della conferenza stampa - i due sono stati aggrediti, picchiati, strascinati in un deposito senza che nessuno abbia mai segnalato alcunché. Se fossimo altrove, la ndrangheta probabilmente sarebbe già stata sconfitta, ma qui è tutto più difficile perché anche di fronte ai fatti più palesi si alza un muro di omertà che impedisce di raccogliere anche i più basilari elementi”.


Pina Franco. Le indagini proseguono e, grazie alle intercettazioni ambientali, si è potuto osservare come stesse cambiando l’organizzazione del clan, quali erano gli affari, come ci si divideva i compiti. Dopo l’ arresto del boss Michele Franco, il ruolo di capo clan era passato alla figlia Pina, aiutata dallo zio Giuseppe Franco, e da Massimo Murina, cugino del marito Consalato Carmelo Murina, anche lui boss. ”Ancora una volta è da sottolineare il ruolo delle donne nelle cosche di ‘ndrangheta – dichiara il procuratore De Raho – che molto spesso raggiungono i vertici apicali dei clan”. “ È lei – sottolinea Cafiero De Raho – a concentrare su di sé tutte le decisioni, come a pretendere che a lei e solo a lei venga versato quanto raccolto nel corso delle attività illecite”. Il ruolo di Pina è stato voluto dal clan ed era riconosciuto da tutti gli affiliati. era lei a prendere tutte le decisioni, a raccogliere i proventi del traffico di stupefacenti, a dettare strategie e decidere i ruoli.


I rapporti con Filippo Gironda. Era sempre la Pina a gestire i rapporti con l’imprenditore Filippo Gironda. Dalle intercettazione al vaglio degli inquirenti è infatti emerso che la donna ha ordinato, più volte, di presentarsi nella propria abitazione per fare il punto della situazione su interessi e affari cui era legato il clan. Gironda è considerato, dagli inquirenti, un uomo del clan. “È il volto della ndrangheta imprenditrice” ha dichiarato il Comandante provinciale dei Carabinieri Lorenzo Falferi. “Si sancisce, ancora una volta il collegamento tra la ‘ndrangheta e le attività imprenditoriali – conclude il colonnello – così come avviene nei territori del centro nord anche qui le cosche sono perfettamente inserite nel tessuto economico e commerciale presente sul territorio”.

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