In procura a Latina uno o più magistrati avevano subodorato che nelle condotte del gip Giorgia Castriota, 45enne di Cosenza, ci fosse qualcosa che andava oltre i suoi poteri, sconfinando nel penalmente rilevante. La vicenda in esame viene illustrata nella parte finale dell'ordinanza cautelare, dove il gip di Perugia, a seguito delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, sotto il coordinamento investigativo del procuratore capo Raffaele Cantone, intercetta alcuni messaggi e conversazioni con alcuni magistrati del tribunale di Latina, tra cui il presidente del tribunale, Caterina Chiaravalloti, originaria della provincia di Catanzaro e figlia dell'ex presidente della Regione Calabria.

Ma non solo lei finisce per essere «avvicinata» dal giudice Castriota, bensì anche un ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura che, a dire della togata di Cosenza, avrebbe dovuto intervenire con il procuratore generale presso la Corte d'Appello di Roma per "ammorbidire" il procuratore capo di Latina, circa la nomina di un amministratore giudiziario che la procura di Latina, secondo quanto si apprende dalle carte dell'inchiesta, avrebbe voluto revocare. Amministratore, ovviamente, che la Castriota voleva tenere al suo posto, essendo "vicino" a lei.

Leggi anche

In questa storia, sostengono gli inquirenti e il gip di Perugia, «le evidenze che precedono, sono emblematiche dell'attivismo del magistrato che, andando ben al di là delle sue competenze e della differenza di funzioni con il pubblico ministero, si adopera non solo per mantenere il controllo sulle società in amministrazione giudiziaria, ma altresì per estendere il sequestro anche ai Consorzi, andando oltre la richiesta del pubblico ministero, che infatti si rifiuta di eseguirla ritenendo il provvedimento eccessivo e quindi illegittimo». 

Il problema riguardava un sequestro di beni che la Castriota, tra le altre cose, aveva anticipato a un suo interlocutore. Il giudice, secondo quanto ricostruito dalla Finanza, si sarebbe fatta consigliare da terzi circa la nuova nomina in favore di Evangelista, specificando che pur trattandosi di un nuovo fascicolo, per motivi di continuità, sarebbe stato opportuno nominare il medesimo amministratore giudiziario. La "guerra" dunque inizia quando il pm di Latina Andrea D'Angeli non firma il decreto di esecuzione del sequestro scritto dal gip, poiché in disaccordo con l'estensione operata dal giudice anche ai Consorzi, ma non richiesta dal pubblico ministero di Latina, ritenendo quindi che il giudice fosse andata "ultra petita".

Leggi anche

Giorgia Castriota coinvolge il procuratore aggiunto, evidentemente nella speranza di bypassare il sostituto, informa la presidente del tribunale per portarla dalla sua parte e ricevere eventualmente tutela, arriva a contattare - al momento non si è a conoscenza se effettivamente l'interlocuzione ci sia stata - il procuratore generale presso la Corte d'Appello di Roma, ammantando il tutto con esigenze di giustizia, mentre in realtà le motivazioni - spiega il gip di Perugia - «sono ben più misere», come afferma laconicamente Ferraro alla Vitto: «La sua grande preoccupazione è quella che se finiscono i giochi da qua non prende più niente...».

Il procuratore capo di Latina, Giuseppe De Falco lo scorso 30 marzo aveva inviato una nota al presidente del tribunale. Il capo della procura evidenziava da un lato il fatto che il giudice Castriota con il proprio provvedimento fosse incorsa in un vizio di ultrapetizione e, dall'altra, manifestava perplessità per le tempistiche particolarmente celeri, nell'emissione del provvedimento, chiedendo di segnalarla al Consiglio Superiore della Magistratura. Non era di questo avviso la Castriota che alla Chiaravalloti disse: «Il disciplinare», da intendersi il processo dinanzi alla sezione disciplinare del Csm, «andrebbe fatto a D'Angeli» (il pm della procura di Latina) perché avrebbe «inottemperato un ordine del giudice».

Leggi anche

Le intercettazioni e la Postpay

Dall'ordinanza cautelare emerge comunque un modus operandi alquanto discutibile del giudice Castriota, il cui unico pensiero era quello di trovare il modo di arrivare a pagare tutte le spese che aveva nel mese corrente. Una situazione, probabilmente, che l'avrebbe spinta oltre i limiti previsti dalla legge, con una serie di presunte condotte illecite che avrebbero alimentato se stessa e i suoi amici consulenti. In tal senso, suona strano che un giudice debba premurarsi di comunicare all'amica Stefania Vitto che da qui a breve le arriverà il suo «primo ricco bonifico» da 10mila euro, di cui una parte, circa 3mila euro, sarebbe stata versata su una postepay. Questo avrebbe permesso al giudice Castriota di «liberarsi», seppur per poco tempo di Silvano Ferraro, con il quale aveva un rapporto di «amore e odio», anche nei viaggi verso Cosenza, dove trascorrevano a volte le vacanze per un breve periodo di tempo. Infine, ma non per ultimo, desta scalpore la frase di Ferraro che suggerisce al giudice, nonché sua convivente, di infilare circa 1500 euro nella borsa o eventualmente nella zip. «E nun ce va, nun ce vanno» diceva pochi mesi fa Giorgia Castriota. Oggi la magistrata è stata interrogata a Rebibbia al pari del suo compagno.