VIDEO | Sotto i riflettori dell'ente la scelta del Consorzio regionale di allargare la zona industriale per includere anche le imprese che avrebbero interrato rifiuti pericolosi speciali e fanghi inquinanti
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È pronto a prendere posizione l’Osservatorio ambientale Iride, mentre il sindaco Aldo Alessio annuncia l’intenzione del comune di Gioia Tauro di costituirsi parte civile. Gioia Tauro fa i conti con la scoperta della sua “terra dei fuochi” – rifiuti pericolosi interrati nei terreni agricoli vicini al termovalorizzatore – e quanto emerso dall’operazione “Mala Pigna” diventa argomento di una possibile mobilitazione.
«Pomeriggio – assicura Raffaele Giacobbe, portavoce di una delle associazioni ambientaliste più combattive nel territorio della Piana reggina – terremo una riunione sull’argomento». C’è voglia di saperne di più sui tempi della necessaria bonifica, dopo il sequestro di un’area che – vicina a 2 delle 5 aziende sequestrate, riconducibili all’imprenditore Rocco Delfino – è risultata inquinata con valori superiori a 6.000 %.
«Queste attività legate allo smaltimento di materiale ferroso – sostiene il sindaco – erano state autorizzate nella seconda industriale del Corap, sebbene in quell’area sia in atto una pianificazione che punta all’insediamento di società legate all’agroalimentare: provvederemo, tramite i nostri uffici, a verificare se a valle della deroga concessa vi siano stati i previsti controlli per capire dove andava il materiale di risulta, altamente inquinanti».
Gli aspetti legati ai controlli che sarebbero saltati non sono affatto secondari, e completano il quadro fosco di una pianificazione che, da parte del Consorzio regionale per l’industrializzazione, ha organizzato una terza zona industriale dedicata ad attività “per la salvaguardia ambientale” – oggi deserta e abbandonata – mentre a poca distanza, senza colpo ferire, ha “premiato” aziende di un imprenditore che già nel lontano 2007 aveva subito una prima confisca per mafia.
Non siamo infatti di fronte al solito raggiro di sfasciacarozze, nell’inchiesta che vede indagate 29 persone che, secondo la Dda di Reggio Calabria, a vari livelli, avrebbero agito per favorire partecipi del clan Piromalli.
Tutti i pentiti della storia criminale recente, sono univoci nel definire Rocco Delfino un imprenditore vicino ai servizi segreti, e la vicinanza dell’impero aziendale sequestrato al porto e al termovalorizzatore dei rifiuti fa temere che l’interramento possa essere servito per chi sa quali altri veleni.