L'uomo era stato condannato in primo grado a 4 anni e 6 mesi di carcere. Arrestato insieme al figlio, per quest'ultimo i giudici hanno dimezzato la pena a 2 anni e 9 mesi di reclusione. Entrambi sono stati scarcerati
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La Corte di appello di Reggio Calabria ha assolto ”per non avere commesso il fatto”, Gino Albanese, 68 anni di Gioia Tauro. L’uomo, difeso dall’avvocato Giuseppe Alvaro, è stato inoltre scarcerato dai giudici. In primo grado il gup di Palmi lo aveva condannato, in abbreviato, a quattro anni e sei mesi di reclusione in quanto ritenuto responsabile di aver coltivato, in concorso, una piantagione di canapa indiana. In particolare erano 13 mila le piantine rinvenute dalle forze dell’ordine ed è per questo che il reato era aggravato “dall’ingente quantitativo”.
In Appello inoltre, è stata dimezzata la pena che era stata inflitta per lo stesso reato a Girolamo Albanese, 39 anni, residente a Rosarno, difeso dal legale Domenico Alvaro, che era stato condannato in primo grado a cinque anni di reclusione. I giudici di piazza Castello, riconoscendo le attenuanti generiche all’imputato, ha quindi rideterminato la pena in due anni e nove mesi di reclusione e, in accoglimento dell’istanza del difensore, ha disposto la scarcerazione dell’imputato. Girolamo Albanese era stato arrestato, in flagranza di reato, dai carabinieri di Gioia Tauro il 29 maggio 2017 a seguito di un servizio di perlustrazione nel territori. Giunti in contrada “Sovereto- quarto Stradone”, i militari avevano infatti notato in atteggiamento sospetto un uomo che, sceso dalla propria autovettura, si avviava frettolosamente all’interno di un appezzamento di terreno in uso alla famiglia Albanese.
A quel punto, anche in considerazione delle immagine estrapolate dai servizi di videoripresa, gli agenti sono subito intervenuti, scoprendo così l’esistenza di una piantagione di canapa indiana molto estesa, composta da circa 13 mila piante distribuite in tre serre ed irrigata attraverso un sofisticato impianto automatizzato. Girolamo Albanese si è dichiarato subito responsabile del reato e ha ammesso i fatti, Attraverso la visualizzazione delle immagini delle telecamere, installate sul fondo agricolo, sono stati successivamente raccolti dagli inquirenti elementi accusatori anche a carico del padre, Gino Albanese. I due venivano, quindi, sottoposti dal gip di Palmi alla custodia cautelare in carcere sulla base di gravi indizi di colpevolezza confermati poi dal Tribunale della Libertà, che concedeva tuttavia gli arresti domiciliari solo a Gino Albanese, il cui ruolo è stato ritenuto secondario. In primo grado il gup palmese aveva affermato la responsabilità penale di entrambi gli imputati.
Nel giudizio di appello la difesa ha sostenuto, con riferimento alla posizione di Gino Albanese, che i fotogrammi che lo ritraevano non erano significativi di una condotta di attiva compartecipazione nel reato commesso dal figlio, essendo piuttosto compatibili con una situazione di mera conoscenza dell’altrui attività illecita e, quindi, di connivenza passiva penalmente irrilevante. Per Girolamo Albanese la difesa ha invece, insistito per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con l’aggravante, in considerazione del suo stato di incensuratezza e del corretto comportamento processuale. La Corte di appello ha condiviso le argomentazioni difensive e, ribaltando la sentenza di primo grado, ha assolto Gino Albanese per non avere commesso il fatto, rideterminando la pena per il figlio, nella misura di due anni e nove mesi di reclusione ed entrambi hanno riacquistato la libertà.