Per i magistrati la condotta dell'ex sindaco di Pizzo, nonostante la sentenza favorevole, sarebbe «tutt’altro che trasparente». Il caso dell’incontro in un bar con un sorvegliato speciale «per quel discorso della piazzetta»
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La valutazione rigorosa delle accuse della Dda di Catanzaro all’ex sindaco di Pizzo Gianluca Callipo «non consente di raggiungere nei suoi confronti, in relazione al delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, la soglia probatoria necessaria ai fini di una pronuncia di condanna». La sentenza di assoluzione per il politico arriva ai sensi dell’articolo 530, comma 2, del codice di procedura penale: una formulazione che il giudice «pronuncia anche quando manca, è sufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da una persona imputabile». Passaggio necessario per illustrare le osservazioni del collegio giudicante del processo Rinascita Scott. Nelle motivazioni depositate oggi, i giudici sottolineano che «dal materiale probatorio esposto emerge senza dubbio una condotta tutt’altro che trasparente da parte dell’imputato che ha mostrato di acconsentire a contatti e rapporti con esponenti della consorteria criminale (in primis con Salvatore Francesco Mazzotta), verosimilmente anche con l’intento di ottenerne il consenso in vista delle consultazioni elettorali». Mazzotta è stato condannato a 23 anni di reclusione nel processo di primo grado.
L’accusa aveva chiesto per Callipo una condanna a 18 anni. La sentenza assolutoria del 20 novembre 2023 fu accolta dall’ex primo cittadino come la «fine di un incubo che mi ha strappato dai miei affetti, dal mio lavoro, dall’altra vita terminata per sempre il 19 dicembre 2019».
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L'incontro con il sorvegliato speciale in un bar di Pizzo
Nelle motivazioni della sentenza i giudici evidenziano che «la prova all’esito dell’istruttoria dibattimentale appare insufficiente, non avendo consentito di individuare lo specifico e consapevole contributo causale che Callipo avrebbe fornito alla consorteria e residuando, conseguentemente, il dubbio che la condotta dell’imputato abbia effettivamente superato la soglia delle mera contiguità compiacente per concretizzarsi in un concorso nel delitto penalmente rilevante». Nulla di penalmente rilevante, dunque, anche se non mancano sottolineature in chiaroscuro sul comportamento del politico. Ad esempio, «le modalità con le quali avviene l’incontro alla Polena (un bar di Pizzo, ndr) con Mazzotta, in un momento in cui quest’ultimo era sottoposto alla sorveglianza speciale, unitamente agli altri elementi emersi, appaiono gravemente indizianti e denotano certamente una vicinanza di Callipo agli ambienti criminali».
Le motivazioni riservano poi un passaggio a questo presunto incontro monitorato dalle forze dell’ordine in un locale pubblico del centro della costa tirrenica vibonese. Il filo si snoda a partire da una intercettazione in cui Salvatore Mazzotta e altre persone vicine alla criminalità organizzata pianificano un incontro per alle 15 «con una terza persona non indicata esplicitamente, “per quel discorso della piazzetta”». Mazzotta, in quel periodo, è un sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno. I carabinieri monitorano le fasi di quell’incontro: militari in borghese accertano la presenza nel bar di Gianluca Callipo, all’epoca dei fatti sindaco di Pizzo. Per l’accusa è lui il «Gianluca» di cui Mazzotta e i suoi parlavano al telefono programmando l’incontro.
Una pattuglia dei carabinieri entra nell’esercizio commerciale per le verifiche: il sindaco è nel locale assieme a un’altra persona: accanto vi sono alcune sedie vuote e la porta dell’ingresso secondario del bar è aperta.
«Gli accertamenti successivi – scrivono i giudici – consentono di ritenere che Mazzotta si sia allontanato dal bar utilizzando l’uscita secondaria». Fatto che risulta dall’analisi di alcuni sistemi di video sorveglianza posizionati nella zona e anche dalle intercettazioni sull’utenza telefonica di Mazzotta.
Il colloquio in carcere: «Avete votato a Callipo»
Nella trattazione della posizione di Callipo, le motivazioni della sentenza evidenziano (tra le altre) una conversazione registrata in carcere tra Salvatore Mazzotta (detenuto), sua madre e sua sorella, nella quale i tre affrontano «l’argomento delle elezioni comunali che si erano tenute pochi giorni prima», l’11 giugno 2017 e avevano visto Callipo primeggiare. «Avete votato a Callipo», chiede Mazzotta ai familiari. Per i giudici, «dal tono utilizzato per porre la domanda si comprende che l’argomento era stato già in precedenza trattato» e che Mazzotta chiedeva «conferma della circostanza che il voto sia stato effettivamente espresso nel senso già prospettato». Madre e moglie rispondono di sì. La madre, in particolare, secondo quanto detto dai testimoni di polizia giudiziaria, avrebbe detto, «facendo riferimento a Callipo, “e lui me ne fa saluti”». Frase che, tuttavia, «non è stato possibile percepire con chiarezza all’ascolto diretto».